Studiare storia è una prassi per la scuola, come pure fare delle gite o visitare determinati luoghi. Andare a vedere un monumento o un museo invece di stare sui banchi dà una sensazione di sollievo: in fin dei conti non si è in aula. I luoghi che si visitano così però non assumono un grande valore e, una volta tornati a casa, significano poco, se non niente. Se invece li si osserva sotto un’altra luce o in maniera diversa, critica e curiosa, essi ci dicono più di quanto si possa pesare.

Con queste premesse Nicolò Giraldi, nel suo libro ‘La Grande Guerra a piedi’ , ha voluto condividere la sua esperienza di viaggio, da Londra a Trieste, seguendo i percorsi della Grande Guerra nel tentativo di comprendere da sé cosa è stato quell’importante conflitto e cosa avesse provato chi l’aveva combattuto. Un viaggio a piedi, perché

“è l’unico modo per comprendere fino in fondo il territorio che viviamo”

Solo sperimentando la tranquillità che può dare una passeggiata ci possiamo accorgere di quanto di bello ci sia nelle cose che ci circondano. L’essere viandanti è una via anche per comprendere sé stessi, mostrando una dimensione di quello che si vive ogni giorno completamente diversa. Andare a piedi significa quindi capire meglio il mondo in cui viviamo.

Il viaggio è stato ispirato dalle vicende di un suo bisnonno. Costui era nato nell’Istria austriaca nel 1889 e a 25 anni era stato soldato in Galizia nella guerra contro la Russia. Giraldi lo descrive come un’uomo che non scendeva a patti con nessuno, fedele suddito dell’Impero austro-ungarico anche dopo il suo disfacimento. Aveva vissuto la prigionia in Russia, a Novogorod, dal 1914 al 1919, l’annessione della sua terra all’Italia, l’avvento del fascismo, che non gli permise di continuare il suo lavoro nelle saline, l’arrivo delle truppe di Tito e la Zona B del TLT (Territorio Libero di Trieste), trasferendosi poi a Trieste durante l’esodo del 1956. Morì nel 1971.

Nicolò non ha mai conosciuto questo suo bisnonno, e buona parte delle fonti che lo riguardano sono ben custodite nell’archivio di Stato di Trieste. La sua vita, in particolare quella del periodo della Grande Guerra, è stata di grande stimolo al compimento del suo viaggio. Un viaggio della memoria.

Visitando i vari siti e i vari luoghi Giraldi ha avuto modo di vedere e parlare con molte persone, constatando soprattutto che il modo in cui la memoria e il ricordo della guerra vengono trattati è diverso da paese a paese. Una cosa in particolare lo ha colpito: a Ypres, dalla fine della Prima guerra mondiale a oggi, escludendo la parentesi dell’occupazione nazista, ogni sera si svolge una particolare cerimonia in ricordo delle vittime inglesi del conflitto, la cerimonia del Last Post alla porta del Menin Gate. In quell’occasione ha avuto modo di parlare con un signore del luogo; egli assisteva assiduamente a quella cerimonia ogni sera da sessant’anni.

Tutti gli stati commemorano con diversità il ricordo, dalla Francia che commemora Verdun, la cosiddetta “tomba di Francia”, all’Italia, con volontari che ogni anno sistemano e tengono in ordine luoghi al confine come le trincee dell’epoca. Oppure come la Slovenia: a Caporetto c’è un piccolo museo della battaglia aperto tutto l’anno, una cosa che era impossibile a vedersi nell’epoca della Jugoslavia di Tito, perennemente alla ricerca di un mito socialista, disprezzante tutte quelle memorie scomode (a inizio XX secolo non era Belgrado a comandare ma Vienna e Budapest. Difficile onorare quei combattenti che combattevano per conto di altri) che non avrebbero portato utilità al governo. Altro aspetto è quello tedesco: in Germania la Seconda guerra mondiale pesa molto di più della Prima, pertanto si tende a parlarne poco o poco volentieri.

Le differenze del ricordo nascono dalla predisposizione che una nazione ha per conservare il proprio passato, dipendendo dallo stesso lavoro che gli stati e i governi fanno per mantenerla. E se ogni stato ha il suo modo, è oggettivamente impossibile creare un sistema di ricordo comune: l’Unione Europea, ad esempio, non parla intenzionalmente del ricordo di una guerra come quella del ’14-18 appunto perché è difficile da commemorare, considerando tra loro i vari stati che vi hanno preso parte.

Il viaggio di Nicolò Giraldi è quindi un viaggio storico di riflessione. E’ un racconto basato su dati sentimentali ma anche concreti, trasportando il lettore in un percorso realistico, in cui vi è grande e meticolosa descrizione dei luoghi visitati, dai monumenti agli ostelli. Soprattutto ci costringe a riflettere sul senso della guerra, sempre e comunque tragica e orribile.

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