Che cosa sarebbe successo se Ponzio Pilato non avesse ceduto alle pretese del Sinedrio di Gerusalemme di condannare Gesù alla crocifissione, data la libertà di culto di cui godevano le province dell’Impero Romano? Il cristianesimo sarebbe rimasto una setta scissionista dell’ebraismo, o sarebbe comunque assurto a religione dominante, con all’attivo circa due miliardi di fedeli, più o meno militanti? Per quale motivo questa e non un’altra setta è arrivata a coprire un ruolo così importante nella vita del comune uomo occidentale? Una risposta sicura a tali domande potrebbe risultare forzata, se non stucchevole, ma (e anzi, soprattutto per questo motivo) le origini del Cristianesimo sono da sempre fonte inesauribile di materiale letterario,  ed è proprio su questo tema che Il Regno, di Emmanuel Carrère, pone le basi della sua narrazione.

Una narrazione particolare, perché Gesù, che a ben vedere dovrebbe esserne il protagonista, assume un ruolo di comparsa, apparendo sempre in maniera indiretta, introdotto dai racconti dei personaggi; la necessità di Carrère di stare al contempo dentro e fuori dalle quinte della narrazione, la volontà di immedesimarsi in ciò che scrive, lo spingono a dare risalto a personaggi più romanzeschi, contraddittori, che non detengono la parola del Signore ma che si muovono sulla scena ora fieri e sprezzanti, ora goffi e quasi meschini, più somiglianti alla realtà quotidiana di quanto Dio potrebbe mai essere. I due protagonisti dell’indagine dell’autore, autentici compagni di sventure, sono l’apostolo Paolo e l’evangelista Luca.

Un ex jihadista dell’ebraismo, convertito al cristianesimo sulla via di Damasco, e il suo mite segretario:  il primo uomo di nobile sentire, ma rozzo, estremista e fanatico, il secondo più conciliante, intellettuale borghese e medico di professione. Mitja e Alëša Karamazov, per certi aspetti, Sherlock Holmes e John Watson, per altri. Entrambi simboleggiano un modo di concepire la religione, e la linea moderata di San Luca, così vituperata dallo spirito ardente Pierpaolo Pasolini in una sceneggiatura sulla vita di San Paolo mai tramutata in film, è invece congeniale a Carrère; dove Pasolini vede i Romani alla stregua dei Nazisti e San Luca un vile collaborazionista francese, Carrère vede un testimone, un detective e un romanziere che, attribuendo ad ognuno la sua parte di ragione, ha compiuto 2000 anni prima su Gesù un’operazione simile a quella che Il Regno si propone di compiere su di lui, su San Paolo e sui complessi meccanismi sociali che hanno assicurato loro un posto nella storia, occidentale e non.

Definire tuttavia Il Regno una mera indagine storica sarebbe riduttivo. È importante, dal punto di vista letterario, ammettere che la parola del Signore si è espressa tramite opere scritte da uomini in carne ed ossa, e non può essere per questo motivo veramente oggettiva; il Vangelo secondo Luca, gli Atti degli Apostoli, le Lettere di San Paolo sono opere letterarie, di cui conosciamo l’autore, un autore dotato di carattere, opinioni e persino pregiudizi specifici, dettati dalle sue esperienze di vita. Per questo motivo Il Regno prende le mosse da un episodio autobiografico, tre anni di cristianesimo dogmatico vissuti in seguito ad una crisi creativa e sentimentale, episodio da cui si snoda e si evolve il punto di vista del narratore; interessante da notare è in questo caso l’appiattimento, probabilmente voluto, dello stile generalmente mordace e velato di una sottile ma costante ironia, che rievocando i pensieri e i dubbi di quel periodo mestamente si ridimensiona ad un’autoanalisi più seriosa e flemmatica. Due riflettori distinti guardano al palcoscenico: quello del credente ebbro del proprio estremismo, e quello dell’intellettuale smaliziato, avvezzo alle cose della vita, ma cosciente e critico del proprio passato.

Il Regno è, al pari del passaggio improvviso della terza alla prima persona in un punto preciso del Vangelo secondo Luca, una porta d’ingresso nel mistero della vita e passione di Cristo: una porta di servizio, che come tale riserva al lettore un punto di vista inusuale, possibile fonte di nuovi spunti di riflessione su un tema che, pur impolverato da duemila anni di esegesi, mantiene lo stesso impeto rivoluzionario delle origini.

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