Le barricate di Torre furono l’ultimo estremo baluardo contro il fascismo a Pordenone. Nei mesi successivi, le intimidazioni e le violenze non incontrarono più una resistenza organizzata: la rassegnazione si era ormai diffusa. Opporsi alle frequenti incursioni delle Camicie Nere provenienti da Udine e dal Veneto era diventato impossibile. La repressione si fece sempre più pesante: licenziamenti di sindacalisti, arresti, aggressioni. Una spirale che sarebbe proseguita fino al 1925.

Nel 1922, a Torre, nuove perquisizioni fasciste colpirono non solo le abitazioni, ma anche la canonica. Le proteste di don Lozer non servirono a nulla. Anche lui, ormai, si era convinto che opporsi non avesse più senso.

Un sentimento di impotenza confermato dall’assoluzione dei fascisti che, l’anno precedente, avevano incendiato negozi, sparato per le strade, rubato e devastato case di esponenti di sinistra. La giustizia stessa, ormai, si stava adeguando ai tempi.

Settembre fu un mese cruciale. Il 20 settembre 1922, di ritorno dal congresso del Partito Fascista tenutosi a Udine, Benito Mussolini giunse in treno a Pordenone. Non era ancora il “Duce”, ma il principale esponente dei Fasci di combattimento, fondati da lui tre anni prima. Accompagnato in visita alla modesta Casa del Fascio, la sera assistette al Teatro Licinio (oggi Teatro Verdi) alla rappresentazione di Madama Butterfly. Poco più di un mese dopo, il 28 ottobre 1922, avrebbe guidato la Marcia su Roma, entrando definitivamente nella storia d’Italia.

Con l’avvento del fascismo, la politica era diventata terreno proibito di critica. Pordenone in questi anni subiva ancora le conseguenze della guerra. Nel 1923, ad esempio, il ponte sul Noncello, distrutto nella ritirata austriaca del 1918, era ancora inagibile. Solo dopo le proteste popolari, l’11 febbraio venne realizzata una passerella pedonale per permettere il transito di persone e biciclette. Anche il ponte sul Meduna fu riparato, ma solo a novembre di quello stesso anno.

La fine del 1923 non sembrava destinata a lasciare segni nella memoria, salvo un piccolo dettaglio: sul giornale Il Popolo del 25 dicembre apparve una pagina pubblicitaria di una ditta con sede in Corso Garibaldi. Il titolare, Antonio Zanussi, promuoveva le sue innovative stufe assemblabili, riparabili sostituendo solo i pezzi danneggiati. Era l’inizio di un’avventura industriale che avrebbe segnato il destino economico della città.

Nel 1924 Pordenone accolse il re Vittorio Emanuele III. Alle 6:47 del mattino del 12 ottobre, il sovrano fu ricevuto in stazione dal IV Genova Cavalleria e dai notabili locali. Salutata la folla e ascoltata la Marcia Reale, ripartì subito verso Udine. La stessa scena si ripeté in serata, al suo ritorno. Tre anni dopo, il 20 settembre 1927, il re tornò per una visita ufficiale, assistendo a un’esercitazione aerea sul Cellina e passando in rassegna i piloti all’aeroporto di Aviano.

Negli anni successivi, la città visse un periodo relativamente tranquillo. Si susseguirono commemorazioni, miglioramenti urbanistici e inaugurazioni: la nuova Casa del Fascio (oggi Prefettura), la Casa del Balilla (nota come ex-fiera o “fieravecchia”, futuro Polo Young) e la Casa del Mutilato in Piazza XX Settembre. Anche la visita del principe ereditario Umberto ai campi di Aviano e della Comina fece parte di una normalità apparente.

Il biennio 1935-1936 segnò un punto di svolta. La guerra in Abissinia, presentata come la conquista del “posto al sole” per l’Italia, suscitò grande entusiasmo. Le sanzioni della Società delle Nazioni spinsero il regime a lanciare la campagna “Oro alla Patria”, invitando i cittadini a donare i propri metalli preziosi. Anche a Pordenone la partecipazione fu massiccia: persino la Società Operaia di Mutuo Soccorso donò 500 lire in oro (circa 567 euro di oggi). Molte famiglie offrirono le proprie fedi nuziali, ricevendo in cambio semplici anelli d’acciaio.

Nel settembre del 1938, Mussolini tornò a Pordenone, di passaggio durante un viaggio nelle Venezie. Pochi giorni prima, a Trieste, aveva annunciato all’Italia e al mondo l’adozione delle leggi razziali. Durante la breve sosta in stazione, non scese dal treno ma fu accolto con entusiasmo dalla popolazione e dalle autorità locali. Tra queste, Domenico Bortolini, segretario del PNF di Pordenone, che colse l’occasione per invitarlo a una futura visita ufficiale.

“Verrò” rispose Mussolini, ma non ne ebbe più il tempo.

 


Per approfondire:

  • Fulvio Comin, Storia di Pordenone, Biblioteca dell’immagine, Pordenone, 2008

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