Questa che vi accingete a leggere è la triste storia del castello di Pordenone, declassato a carcere e abbandonato allo scorrere del tempo.
L’epoca di costruzione di quello che era uno dei manieri più importanti della zona risale alla seconda metà del XIII secolo: voluto da Federico Ulrico di Carinzia, vescovo di Salisburgo, il castello venne eretto sui resti di una struttura di difesa di inizio del secolo, rivolto a oriente verso il cuore degli scambi commerciali fluviali a cui tutti i signori della zona ambivano. Con il passare dei secoli questo edificio ha visto il susseguirsi di casate asburgiche, ha vissuto da vicino l’avvento della Repubblica di Serenissima, poi dell’esercito francese, e infine il ritorno all’Italia. Durante questo continuo susseguirsi di padroni diversi, il castello ha subito molte modificazioni, alcune anche drastiche: importante simbolo di potere del primo periodo, divenuto poi sede del cenacolo di letterati dell’Accademia Liviana, e infine nel 1811 spogliato del suo elegante aspetto medievale in seguito alla vendita a un privato che ne ha smantellato mura e torri per farne una struttura abitativa, lasciando quello che oggi vediamo: un edificio di aspetto poco gradevole, decadente e dimenticato. Riportando le parole di Candiani, ci si trova di fronte a una “atroce offesa alle più elementari leggi dell’estetica”.
È difficile ora immaginare quello che Leonardo Donato aveva descritto nel suo “Viaggio nella Patria del Friuli” nel 1593, ovvero un castello bello e ampio, circondato da mura e fossi con acqua, con un numero di abitanti pari a quello del borgo nelle immediate vicinanze.
Diventato dal 1887 una struttura carceraria, il castello di Pordenone è un classico esempio di come la mano dell’uomo crea più danni della natura stessa: che sia dovuto a mancanza di fondi, di spazi o di idee, la distruzione della bellezza ereditata dai predecessori è pressoché totale, se non fosse per le mura che ancora oggi avvolgono parzialmente la mummia di quello che era il castello, nascondendo parzialmente all’occhio il danno arrecato.
Questa struttura che una volta si affacciava spavalda alle campagne limitrofi, allo stesso centro abitato esterno ed estraneo al nostro castello, che catturava l’occhio del passante e lo metteva in soggezione con il suo significato di dominio dei conquistatori che qui risiedevano, ora sembra quasi non avere la forza di sostenere nemmeno uno sguardo distratto, ha perso completamente il suo splendore e si mimetizza con i casermoni andati in disuso che si possono trovare in periferia nelle grandi città. Un destino crudele per un edificio importante e ambito, che ha seguito la storia del territorio nel corso di lunghi secoli.
Una buona notizia c’è: la triste storia del castello di Pordenone ha attirato l’attenzione del FAI, Fondo Ambiente Italiano, che lo ha selezionato per un programma di ristrutturazione una volta trasferito il carcere nella nuova struttura di San Vito al Tagliamento, per permettere di rendere giustizia almeno parzialmente a questo edificio che ha rappresentato il cuore pulsante della zona per diversi secoli.