“Magari arrivi che senti la tua solitudine farsi pesante ma è un gioco diverso ed essere soli fa molto più male in mezzo alla gente, allora sì che è doloroso e pungono le ossa e il respiro è davvero brutto, come vivere un trip scannato e troppo lungo.” 

(Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini)

A volte capita di incontrare alcuni libri per caso, nascosti in uno scaffale di una libreria, e di iniziare a sfogliarli senza un motivo preciso, magari incuriositi dai colori della copertina, dal titolo o dal nome dell’autore che non si conosce. Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli l’ho scoperto così, senza volerlo e senza intenzione, per pura casualità, selezionandolo in mezzo ai tanti libri pubblicati in edizione tascabile dalla Feltrinelli.

Un testo non troppo spesso, agevole, una raccolta di racconti scritta con un uso del linguaggio e del mezzo espressivo difficile da trovare in Italia, di chiara ispirazione americana.  Più che altro, infatti, leggendolo, sembra di ritrovare, contenutisticamente e soprattutto stilisticamente, una modalità del narrare propria di una specifica tradizione letteraria pop e quasi beat statunitense rappresentata da autori come Hubert Selby Junior, Jim Carroll o, in altra maniera, Hunter S. Thompson e il suo gonzo journalism: linguaggio basso, gergale, frasi che riprendono i ritmi e le cadenze del parlato, una punteggiatura usata poco ma in maniera molto ritmica e precisa, periodi molto lunghi, continui riferimenti a opere artistiche (cinematografiche, musicali,..) di massa, dalle canzoni dei Soft Machine ai film americani degli anni settanta.

La cosa più interessante rimane, però, il fatto che determinate situazioni o realtà sociali, che magari si è abituati a leggere e a trovare descritte soltanto in autori provenienti da New York o da Los Angeles, in questo libro le si trova collocate in una realtà e in uno spazio evidentemente e fortemente italiano: i ragazzi che, nel primo racconto, passano le giornate a cercare denaro per pagarsi le dosi si muovono in un ambiente urbano e periferico che ha il suo centro nella Stazione di Bologna e nei diversi tipi umani che la popolano; in altri racconti, invece, si parla di giovani persi tra Milano e Rimini, tra l’università e i viaggi dopo il liceo. Il momento storico che fa da sfondo a questi racconti é il sessantotto e gli anni settanta in Italia visti attraverso gli occhi di giovani ai margini più infimi e, forse, più onesti di quello che è stato il grande movimento politico e culturale giovanile di quegli anni: di università occupate e cortei si parla, infatti, solo accennando, come fossero lontani sogni e aspirazioni di questi ragazzi che, piuttosto, devono fare i conti con il vivere di provincia, con la propria omosessualità, con le droghe e con la profonda disperazione del quotidiano e del privato.

Ogni tanto sembra di trovare, in questi racconti, lo stesso degrado e disagio, le stesse ambientazioni e situazioni che si possono trovare nei fumetti di Andrea Pazienza (molto amato, infatti, da Tondelli) e nei film di Claudio Calligari, in particolare il suo primo lungometraggio, Amore tossico. Come è stato detto dalla critica per i lavori di Calligari, anche lo scrivere di Pier Vittorio Tondelli pare nascere e innestarsi, contenutisticamente,  laddove si fermano le periferie e le borgate romane di Pasolini, popolate di giovani ragazzi e di violenza.

Un libro interessante, insomma, che racconta un’Italia diversa e provinciale, qualcosa di originale all’interno del panorama letterario italiano del tardo secondo novecento.