A volte capita di domandarsi come mai certi autori di romanzi (scrittori come Jack Kerouac, John Fante…) non abbiano mai pubblicato almeno una raccolta di poesie: il loro scrivere in prosa profondamente lirico (nel senso che è caratterizzato da un io lirico molto forte) e intimamente autobiografico, il loro lavorare sulla metrica, sul ritmo del periodo e sui rimandi sonori all’interno delle frasi sembrerebbero avvicinarli molto, come ricerca espressiva, al discorso poetico; poi, magari, ed è il caso di Kerouac, scopri che poesie ne hanno effettivamente scritte (e anche di qualità).
“Forse c’è incoscientemente in me un aspetto poematico. Un po’come in Biglietti per gli amici. Vorrei fare altri libri come questo. Prose concluse in poche righe, che abbiano un loro suono, una loro voce”: così diceva Pier Vittorio Tondelli parlando di uno dei suoi lavori più particolari e originali (Biglietti agli amici, per l’appunto), un testo pubblicato quasi per non essere letto se non da pochi intimi fedeli (inizialmente fu stampato in pochissime copie). Si tratta di una raccolta di piccole immagini, di rapidi discorsi e minuscole confessioni condensate in poche righe, in una brevità personale e intensa; ciascun componimento ha un suo destinatario preciso a cui è dedicato, come fosse un regalo o, almeno, un chiaro ricordo. Il testo è diviso in ventiquattro capitoli (e di conseguenza in ventiquattro brevi testi) che seguono la scansione oraria di una giornata: dodici momenti per la notte e dodici per il giorno. Ciascun capitolo, inoltre, è introdotto da uno schema grafico, disegnato dall’autore, in cui vengono accostati segni zodiacali ai giorni della settimana e ai nomi di vari angeli (Raphael, Rachel,…).
Un testo difficile da collocare in un genere letterario preciso ma che forse si avvicina, ricollegandosi a quanto detto precedentemente, proprio allo scrivere poetico più che a qualsiasi altra cosa; in particolare, viene in mente l’elegia, una forma di componimento in versi di origine classica attraverso il quale solitamente il poeta si confronta con i due grandi estremi del vivere, l’amore e la morte, e con il tema della lontananza, dell’esilo. In Biglietti agli amici si sprecano anche le citazioni, o meglio le riscritture: ad esempio, parole come “anche l’ultima volta che ti ho visto faceva freddo e tu te ne stavi infagottato in quella mia vecchia giacca nera. Mi sei sembrato più vecchio, più curvo, più stanco. Vorrei scriverti che hai perso tutti i treni e quando te ne sei tornato lei era ormai Lili Marlen (…)” non sono altro che una riproposizione rimaneggiata della canzone Famous Blue Raincoat di Leonard Cohen.
La questione che però, probabilmente, è più interessante porsi riguardo a Biglietti agli amici è se valga la pena descrivere e cercare di collocare questo tipo di testo in una categoria letteraria classica e canonica. Dire che questo libro è a tutti gli effetti poesia e in quanto tale appartiene ad un genere che ancora, spesso, si vuole collocare in un grado più alto rispetto al romanzo o al racconto ha qualche significato come analisi critica? La prosa, ormai, non ha decisamente più bisogno di essere definita poesia per sentirsi nobilitata e, allo stesso modo, la poesia non ha alcun bisogno di essere chiamata prosa per essere ritenuta attuale e capace di comunicare con il contemporaneo; quello che invece potrebbe essere interessante, studiando Biglietti agli amici, sarebbe piuttosto sottolineare l’ipertestualità e la multimedialità di questo libro, il suo esprimersi attraverso linguaggi diversi (scrittura, il disegno, la citazione di canzoni, l’aspetto grafico dei testi). Per dare una più sensata definizione, si potrebbe usare il concetto di “libro come installazione artistica” (termine utilizzato dal critico Giovannetti nel testo La poesia negli anni duemila: un percorso di lettura per dare conto di tutto un certo tipo di ricerca che attualmente svolge la cosiddetta poesia d’avanguardia): un lavoro in cui testi, per come sono stati disposti graficamente e per il rapporto che hanno con la citazione e con i simboli grafici che li accompagnano, sono imprescindibili dall’intero libro cartaceo e materico che li ospita. Il discorso che si crea all’interno di Biglietti agli amici non è solo costruito con le parole e il linguaggio scritto ma, piuttosto, risulta composto da tutta una serie di relazioni paritarie tra diversi medium espressivi che dialogano fra loro. Inoltre, il lettore è chiamato a essere parte attiva e imprescindibile dell’intero senso del libro, trovandosi a dover riconoscere le citazioni (che altrimenti risulterebbe un testo di oscuro significato) oppure dovendo immaginare chi siano i destinatari dei vari componimenti. Come in un’installazione, per l’appunto, dove la figura autoriale si complica e viene messa in dubbio.
Insomma, Biglietti agli amici è un libro molto interessante non soltanto per l’empatia e la delicatezza che è capace di trasmette ma anche perché permette il domandarsi intorno alle categorie letterarie del postmoderno e di riflettere sui confini labili che esistono tra i generi nella letteratura contemporanea.
Carlo Selan nasce a Udine nel 1996 e attualmente frequenta la facoltà di Lettere presso l’Università di Trieste. Attualmente, scrive e collabora per diversi blog e riviste di cultura come L’oppure, Constraint Magazine, TX2teatriudine, Digressioni, TamTam, ARGO – poesiadelnostrotempo.