“So che è primavera, la stagione del piacere, ma

che cosa posso fare con queste ali stanche? Non posso volare.

Non sono un fragile albero che ondeggia a ogni alito di vento

sono una ragazza afghana e non posso che piangere.”

Arrivata la primavera ciascuno, colto da un irrefrenabile senso di libertà, si abbandona alle più svariate attività. D’altronde primavera è stagione di fiori, dei primi soli, dell’amore, degli uccelli che cinguettano e spiccano il volo. Ma che succede a chi non può volare, spinto dall’irrefrenabile desiderio di libertà?

In Afghanistan la violazione dei diritti umani è in costante aumento. In questa situazione le donne occupano l’ultimo gradino della “piramide sociale”, non ricevendo alcun tipo di educazione, costrette a matrimoni forzati fin da giovanissime, vittime di violenze e soprusi d’ogni tipo, per sfuggire all’ineluttabile ed ingiusto destino cercano la morte dandosi fuoco. La speranza per queste donne è pensabile solamente attraverso associazioni umanitarie come HAWCA e, nel caso specifico di Kabul, la Casa per donne maltrattate di Kabul.

Il frammento riportato appartiene ad una delle poesie raccolte nel libro “Come un uccello in gabbia” della poetessa afghana Nadia Anjuman, vittima di violenze domestiche, che dopo un litigio con il marito fu trovata priva di vita nella sua abitazione. Nadia, testimone delle sofferenze del suo genere, diventerà il simbolo della lotta per la liberazione delle donne afghane.

Queste donne non vogliono più che la loro dignità venga calpestata. Queste donne vogliono essere libere “nel cielo della notte senza stelle”. Queste donne hanno il cuore “gonfio di pena, abbandonate in mezzo alle onde dell’oceano della vita”.

Una vita di violenze non è vita, sarebbe come tarpare le ali ad un uccello che spicca il volo dopo un lungo e rigido inverno, non sarebbe primavera.

 

 

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