Esiste una generazione fumosa, nata tra il secondo lustro degli anni Ottanta e il primo dei Novanta, destinata ad una scomparsa ridicola quanto quella del Dodo. Wikipedia lo descrive così: “…inetto al volo, si nutriva di frutti e nidificava a terra” – un idiota scampato alla crudeltà della selezione naturale fino al XVII secolo, e solo per una singolare dimenticanza del Legislatore dell’Universo. Un uccello che, quando incrociava un cinghiale o un armadillo, non è mai riuscito a trovare una risposta alla domanda:

Ciao bello! Pensavo ti fossi estinto coi dinosauri. Ma com’è che sei ancora a giro?

Ebbene, questo sarà il nostro destino: lasciare questo mondo senza aver afferrato con certezza la linearità delle regole che definiscono la società umana, privi pure della propensione alla ribellione necessaria per provare a modellarle un po’ a nostro piacimento. Quando eravamo ragazzini abbiamo deciso che i-Nirvana-non-erano-poi-‘sto-gruppone solo perché li abbiamo scoperti anni dopo la morte di Kurt Cobain; il nostro immaginario collettivo ha le stesse dimensioni dei cassoni che ospitavano Street Fighter in sala giochi, e di certo non può scappare oltre le pareti di cemento armato delle prime due trilogie di Star Wars. Ora proviamo – arrancando sui gomiti – a dilettarci ingurgitando webserie (The Pills, tanto per farvi capire) e leggendo fumetti: l’importante è che ci costringano ad un’autocritica abbastanza feroce da poter ricordare le esagerazioni di una madre con l’indice puntato. Di quelle verdi di rabbia che nei telefilm chiamano i figli utilizzando il nome completo.

Zerocalcare è un fumettista romano. Vive a Rebibbia e online (sempre su Wikipedia) si trovano un sacco di informazioni biografiche che non interessano mai a nessuno, della serie: “Il nome d’arte Zerocalcare nasce quando, dovendo scegliersi un nickname per partecipare ad una discussione su internet, si ispirò al refrain dello spot televisivo di un prodotto anti-calcare che stava andando in onda in quel momento”. Bellissimo, originale, ma in fondo a chi vuole sapere del suo lavoro poco importa.

Probabilmente non servirebbe nemmeno specificare che il suo Dimentica il mio nome in sole sei settimane ha venduto più di ogni altro fumetto nel 2014; che quello stesso libro ha venduto 80 mila copie in tre mesi, agganciando la dozzina finalista allo Strega 2015. Che, in mezzo a tutto questo successo (ha già pubblicato cinque opere, più uno splendido reportage da Kobane che ha fatto vendere una vagonata di copie a Internazionale), ha smesso di dare ripetizioni di francese per arrotondare lo stipendio da poco meno di un anno. Basti sapere che chi scrive, fino ad una settimana fa conosceva Zerocalcare solo per qualche tavola su Wired. E che ho letto la sua prima opera (La profezia dell’armadillo) in una notte, non sospettando minimamente l’audacia con cui questo trentenne un po’ strambo e molto timido ha deciso di farsi masticare e digerire costruendo una storia (che, in fondo, è una sorta di storia d’amore) utilizzando le piccole insicurezze, le fantasie volatili, gli stupidi dubbi cronici che, a vederla bene, non necessitano di un venticinquenne stanco per essere assorbite.

 

 

 

 

Ah, ovviamente Dimentica il mio nome non l’ha vinto, lo Strega: è stato pubblicato da Bao Publishing.

 

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