Qualche giorno fa, a casa dei nonni, ha telefonato Achille, un cugino di mia nonna partito per New York all’inizio degli anni Sessanta. Per tutti noi Achille non è semplicemente Achille, ma “Achile da la Merica“, che puntualmente ci telefona e ci informa sullo stato di salute di vari altri cugini sparsi negli Stati Uniti. Achille non è l’unico è l’unico parente emigrato, ma anche altri membri della famiglia hanno cercato fortuna in altri Paesi; alcuni vi si sono trasferiti definitivamente, altri, invece, sono tornati in patria.

Sono certa che quello della mia famiglia non è un caso isolato e, probabilmente senza andare troppo lontano dalla realtà, potrei affermare che tutti abbiamo almeno uno zio o un nonno emigrato da qualche parte nel mondo per trovare lavoro.

In questo articolo, dunque, si percorrerà la storia dell’emigrazione friulana nelle sue linee generali, si cercherà di capire quali sono state, nel tempo, le mete principali  e quali problemi incontrati dai corregionali rimpatriati.

Il Friuli – Venezia Giulia è sempre stata una terra di emigrazione. Non andiamo troppo indietro nel tempo, ma cominciamo a raccontare questa storia dall’indomani dell’annessione della nostra Regione al Regno d’Italia (1866), quando i passaporti rilasciati dalla provincia di Udine per l’estero sono circa 15900. Dalla fine dell’Ottocento fino alla prima guerra mondiale si assiste ad una vera e propria emorragia di persone, tanto che i friulani rappresentano il 10% dei migranti italiani. In questo periodo, oltre alle città italiane più industrializzate, Genova, Milano e Torino, le destinazioni più gettonate sono Argentina e Brasile, seguite da Canada e Stati Uniti, e dai Paesi dell’Europa centrale e occidentale: le mete mettono in luce la relazione tra lo sviluppo industriale e i flussi migratori.

Fino al primo decennio del XX secolo l’ emigrazione è ancora temporanea, riguarda soprattutto gli uomini, è dettata da motivazioni economiche e riguarda le zone montane e collinari della regione e gli stipendi degli emigrati diventano la base principale del reddito delle famiglie rimaste in Friuli. I friulani sono per lo più impiegati nella costruzione di infrastrutture oppure si mettono a servizio come mosaicisti, coltellinai, terrazzieri, piastrellisti.

Lo scoppio della prima guerra mondiale comporta alcune conseguenze rilevanti anche sul versante dell’emigrazione: l’inizio del conflitto implica non solo un arresto improvviso dell’emigrazione, ma anche un rientro in patria di moltissimi friulani chiamati al fronte.

Tra le due guerre i flussi migratori verso gli Stati Uniti sono altalenanti: se, inizialmente, essi diventano la destinazione principale degli emigranti (a New York si dirigono soprattutto abitanti della Val Meduna, Fanna e Cavasso Nuovo), successivamente, la crisi del 1929, le iniziative di regolamentazione dell’immigrazione dei Paesi di arrivo e il discredito del governo fascista nei confronti degli italiani che lasciano definitivamente la patria, comportano un rallentamento dei flussi verso gli Stati Uniti e un generale calo dell’emigrazione internazionale. Il fascismo, in realtà, più che bloccare le migrazioni, le indirizza verso destinazioni ad esso più congeniali: la Germania, incentivata nel 1937 dall’accordo tra Hitler e Mussolini per l’invio di lavoratori italiani; le colonie africane, che, negli intenti, avrebbero dovuto convogliare i flussi delle Americhe per mantenere gli italiani in patria; l’Agro Pontino, dove intere famiglie della Bassa Friulana e della pianura pordenonese contribuiscono alla bonificazione delle paludi e alla costruzione di nuove città.

La fine della seconda guerra mondiale e le ferite che essa lascia a tutti i livelli spingono i friulani a riprendere la valigia. Si formano grandi comunità di cordenonesi in Argentina, la scelta di emigrare in Australia è favorita da politiche favorevoli all’immigrazione e vi si trasferiscono profughi istriani e giuliani, il Venezuela diventa la destinazione di abitanti originari di Valvasone, Arzene, Spilimbergo e altri paesi del Friuli occidentale. Per quanto riguarda l’Europa, i corregionali si dirigono in Svizzera, Francia, Germania, Lussemburgo e Belgio. La modalità di reclutamento principale è la chiamata da parte di amici e familiari, che comporta il trasferimento di interi gruppi nello stesso luogo. Lentamente le professioni tradizionali (mosaicisti, coltellinai…) vengono sostituite da mestieri legati all’ambiente industriale.

Il 20 giugno 1953 viene fondato ad Udine l’ Ente “Friuli nel Mondo”, un’associazione che si occupa di collegare i friulani sparsi nei vari continenti e di sostenerli moralmente e materialmente attraverso relazioni privilegiate con le istituzioni internazionali e le autorità diplomatiche italiane. I vari Fogolars diventano importanti punti di riferimento e raccordo per gli emigrati, nonché centri di promozione e di diffusione della cultura friulana. Dalla fine del 1952 fino al 1980, sulle frequenze della Rai, l’Ente mette in onda “Friulani nel Mondo”, una trasmissione radiofonica destinata ai corregionali emigrati e programmata una volta al mese in Nord e Sud America, Australia ed Europa. Le trasmissioni, della durata di circa 15 minuti, sono state in totale 290. Spulciando l’indice dell’antologia sonora di “Friulani nel mondo” si possono ascoltare contenuti di vario tipo: dalle singole storie di emigrazione a racconti sulle festività, da poesie a canzoni in friulano.

E’ il momento di dare i numeri (le cifre sono tratte dal sito Emigrazione del Friuli Venezia Giulia – Corregionali nel mondo ): tra il 1946 e i 1970 risultano espatriate complessivamente dalla nostra Regione 363.854 persone, con una media di 14.554 all’anno. I rimpatri risultano 211.524, con una media annuale di 8.461 persone. Il saldo migratorio del periodo è negativo: la perdita netta è di 152.330 persone, 6.093 all’anno.

Alla fine degli anni Sessanta, quando anche nella nostra Regione si assiste al fiorire dello sviluppo industriale, per la prima volta il numero dei rimpatri supera quello degli espatri, segnando una svolta storica.

Bisogna sottolineare che quando fin dall’istituzione della Regione Friuli – Venezia Giulia, nel 1964, vengono previsti dei programmi di sviluppo che hanno tra gli obiettivi l’eliminazione di cause dell’emigrazione. Il terremoto del 1976 riporta in patria molti corregionali, consente un più veloce reinserimento di operai impiegati nelle professioni edili e muove la solidarietà dei friulani sparsi nel mondo: attraverso i Fogolars l’Ente “Friuli nel Mondo” raccoglie fondi da mandare agli sfollati.

Attraverso una puntuale indagine del 1980 si viene a conoscenza del fatto che i friulani rimpatriati sono persone in età attiva, con un buon livello scolastico e professionale, che hanno programmato il loro rientro e trovano un’occupazione adeguata alle proprie competenze. I rientri, però, non sono facili e presentano diverse criticità, legate soprattutto agli aspetti abitativi, alla scolarità dei figli e ad aspetti sociali in generale.

La “Riforma degli interventi regionali in materia di emigrazione“, legge regionale del 1980, si propone di sostenere economicamente il reinserimento dei rimpatriati e di mantenere i legami culturali con gli emigrati all’estero attraverso specifici programmi da rivedere costantemente. Rimasta in vigore fino al 2002, questa legge ha rappresentato un paradigma lungimirante applicato poi anche da altre Regioni.

Oggi il Friuli – Venezia Giulia rappresenta una delle mete delle migrazioni. La situazione, dunque, si è rovesciata: da luogo di partenza dei migranti, la nostra Regione è diventata la destinazione di altri migranti che, come i nostri corregionali nei decenni passati, cercano qui un’occasione di cambiamento e riscatto che i loro Paesi d’origine non sono in grado di offrire.

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