Di formazione prettamente classica, Alessandro D’Avenia riflette la sua personale esperienza di liceale nel suo nuovo romanzo “Ciò che inferno non è”, amalgamandola con quelle che sono ormai diventate le consuetudini degli adolescenti, abituati a vivere una quotidiana tranquillità borghese dove tutto è pronto ed è già stabilito da tempo.

Da buon professore di lettere classiche non può che iniziare l’incontro con un excursus e una buona dose di ironia, raccontando dell’incontro dei due genitori, felicemente sposati da cinquant’anni. Ed è proprio l’amore dei due che gli ha permesso di essere oggi a Pordenonelegge; quello sguardo in cui il tempo si è fermato. E’ vero quindi che esiste un tempo degli orologi ed uno invece dell’eternità, ogni tanto si scontrano e si intrecciano, ma sono proprio i momenti del tempo eterno e sospeso che ci ricordiamo con più chiarezza.

Da qui, un momento sospeso nel tempo, inizia il racconto.

Il romanzo ha per protagonista Federico, diciassettenne che comincia ad interrogarsi sulla vita e sul futuro. Alla fine dell’anno scolastico, nell’ebbrezza dell’estate palermitana, Federico si accinge a partire per Oxford per una vacanza-studio. In questo frangente avviene l’incontro-svolta con l’insegnante di religione, soprannominato 3P (sigla di Padre Pino Puglisi). 3P stimola Federico a impegnarsi, prima di partire, nel volontariato a favore dei bambini abbandonati del suo quartiere (Brancaccio) che lo stesso don Pino assiste.

La storia, come ricorda l’autore, ruota attorno al concetto di “dare e ricevere”, e Padre Pino ha dato tutto per gente che apparentemente non si meritava nulla, perché “i punti forti di una persona sono fatti per essere dati agli altri”. Così facendo inizia con l’aiutare per primi bambini e ragazzi, dando loro il nutrimento per maturare nell’adolescenza.

Non delude affatto le aspettative D’Avenia, che porta al festival del libro ironia ed emozione.

Se i libri non ci aiutano ad affrontare al meglio le nostre giornate, sono semplici fughe dalla realtà

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