Mantenere viva la memoria del passato è un compito sacrosanto delle generazioni attuali e future: è dovere di tutti ammonire e ricordare onde evitare che l’umanità torni a toccare quel punto più basso della sua storia raggiunto il secolo scorso e riassunto nel termine “Shoah”. Per fare ciò si parte dalle persone e dalla vita di ciascuna vittima della follia nazista: piccoli mattoncini che posti l’uno sull’altro creano questo eterno edificio del ricordo.

In certi casi essi sono cubetti fisici, dei veri e propri blocchetti d’ottone posti per terra tra mattonelle e/o nel cemento, riportanti il nome e le generalità di una persona scomparsa a causa del nazismo. Le pietre d’inciampo, ideate dall’artista tedesco Gunter Demnig, hanno quindi una marcia in più rispetto agli altri strumenti del ricordo: dal colore dorato, esse attirano l’attenzione di chi cammina e, sia direttamente che indirettamente, obbligano il passante che le osserva a riflettere sul loro contenuto.

Un curioso e funzionale espediente che tiene viva la memoria di quel periodo. A Venezia ce ne sono diverse, tutte riferite a persone appartenenti alla comunità ebraica locale deportate e uccise nei campi di sterminio tedeschi. Persino Ca’ Foscari ha l’onore di averne una, dedicata a una sua docente che nel corso della sua vita molto aveva dato all’Università veneziana: Olga Blumenthal. Ma chi era costei?

La sua vita, riscoperta e divulgata recentemente grazie a un importante lavoro negli archivi dell’Ateneo, non è di facile lettura poiché di alcuni momenti ancora non si sa nulla. Classe 1873, Olga nacque a Venezia in una famiglia ebraica, probabilmente ben inserita nell’alta società cittadina. Nel 1901 ottenne un primo impiego presso Ca’ Foscari come assistente alla cattedra di Lingua e Letteratura italiana, mantenendo questo ruolo nel 1919 per quella di Lingua tedesca, divenendo infine lettrice della stessa materia nel 1934.

Non furono questi i soli contributi all’Università: sposatasi e rimasta vedova dopo pochi mesi nel 1921, qualche anno dopo ella donò all’Ateneo diverse centinaia di volumi presenti nella biblioteca del defunto marito, Gilberto Secrétant. Nel 1929, per motivi ancora ignoti, Olga si convertì al cattolicesimo.

Per sopraggiunti limiti di età, nel 1937 Ca’ Foscari la sospese dal servizio ma l’affetto di alcuni docenti e colleghi, come Gino Luzzatto e Adriano Belli (già docente assistito dalla Blumenthal), e soprattutto il loro attivismo nei confronti del rettore Lanzillo, riuscirono a fare in modo che Olga restasse nelle vesti di “assistente volontaria“. Sicuramente una piccola grande gioia per la donna.

Tempi bui erano però in arrivo: il 1938 fu l’anno di quelle leggi razziali che, tra le loro restrizioni, imponevano l’allontanamento dagli uffici pubblici di tutte quelle persone di fede ebraica. Olga era esentata? Niente affatto: a nulla valeva la conversione del ’29, poiché secondo questi provvedimenti ella era “biologicamente” di “razza ebraica” essendo nata da genitori ebrei.

Ciononostante sembrerebbe che la stessa Ca’ Foscari si fosse adoperata in qualche modo per proteggerla, non facendola figurare in quelle liste del personale israelita dell’Università che sarebbero poi state inviate a Roma. Una dimostrazione che non riuscì a portare utilità pratica poiché Olga comunque non poté più praticare direttamente la professione, ritirandosi a vita privata.

Dopo l’8 settembre 1943 le cose precipitarono: occupata Venezia dalle truppe tedesche, nell’ottobre 1944 Olga venne arrestata e deportata prima alla famigerata Risiera di San Sabba, a Trieste, e da qui, neanche un mese dopo, al campo femminile di Ravensbrück, a circa 80 chilometri a nord di Berlino. Da questo luogo, dove si praticavano sulle prigioniere le peggiori torture ed esperimenti pseudo-scientifici, Olga non tornò più.

La sua è quindi una vicenda che ha fatto la storia di Ca’ Foscari e che l’Università non ha voluto lasciare relegata nell’oblio: dopo decenni di anonimato, la posa di una pietra d’inciampo testimonia non solo la volontà dell’Ateneo di fare i conti con il proprio passato nei momenti bui del secolo scorso, ma anche quella di ricordare e tributare gli onori a una persona che, a suo modo, ha lasciato il suo segno in essa.

 

Per approfondire, si rimanda alla tesi di laurea magistrale di Silvia Bettanin, “Ca’ Foscari al tempo delle leggi razziali” (a.a. 2016-17), nonché all’articolo di Silvia GhiottoOlga Blumenthal. Momenti di una vita“.