Più che un “volo”, vi proponiamo un vero e proprio tuffo nel passato. Dalla montagna delle scorse settimane scendiamo verso la pianura, a due passi dal confine meridionale del pordenonese con il Veneto. In uno degli angoli più meridionali della nostra provincia sorge il comune Sesto al Reghena, annoverato tra i borghi più belli d’Italia. Un riconoscimento di cui si possono intuire le ragioni semplicemente passeggiando per il capoluogo, che conserva ancora oggi le tracce della sua storia ultra millenaria.

Tracce che si possono trovare già nella toponomastica locale: Sesto deriva infatti dal latino Sextus, che indicava una mansio (stazione di posta dell’antica Roma) situata a sei miglia da Iulia Concordia ed edificata probabilmente attorno al 2 a.C. Testimonianza del passato romano della cittadina sono i resti di una domus e di un tempietto votivo incorporati nella struttura dell’Abbazia di Santa Maria in Sylvis, vero gioiello del paese, che si è sviluppato attorno alle sue fortificazioni.

La storia dell’abbazia ha inizio nell’VIII secolo, quando i figli del duca longo bardo Pietro fondarono un monastero benedettino sulla chiesa triabsidata già esistente, punto di ritrovo della comunità cristiana locale e situata nel mezzo di una fitta vegetazione. Da qui il nome: “in sylvis” significa infatti “nel bosco, nella selva”. Entrando nel monastero si passa sotto il torrione, unico resto della cinta muraria eretta nel X secolo, restaurato sotto gli abati Michiel e Grimani. La facciata è dominata da un affresco quattrocentesco del leone di San Marco, affiancato dallo stemma del cardinale Grimani. Superato il torrione, si accede all‘ampia corte, sulla quale si affacciano tutti i principali edifici dell’abbazia. Davanti all’ingresso si trova il campanile, forse utilizzato anche come torre d’avvistamento, costruito tra l’anno 1000 e il 1200.

A destra del campanile troviamo invece un portale rinascimentale, caratterizzato da un arco a tutto sesto e dalle decorazioni della trabeazione che riprendono il motivo del palazzo abbaziale. Sempre vicino alla torre campanaria sorge il palazzo della cancelleria, risalente alla fine del XII secolo ma in seguito pesantemente ristrutturato. Probabilmente quest’edificio fungeva da sede per l’autorità civile, contrapposta a quella religiosa del dirimpettaio antico palazzo abbaziale, che possiamo ammirare nelle fattezze dategli tra Seicento e Settecento, decorato con gli stemmi di alcuni abati commendatari. Una scala esterna conduce al salone abbaziale in cui è conservata la più antica pittura del complesso (XII secolo). Attualmente il palazzo è utilizzato come sede comunale. Dietro l’antica residenza abbaziale sono state riportate alla luce le fondamenta della primitiva chiesa triabsidata.

Dal portale si accede al vestibolo della chiesa, impreziosito da due serie di affreschi raffiguranti il Paradiso e l’Inferno.  Nell’atrio è invece sistemato il Lapidario, con i suoi reperti di epoca romana e altomedievale e le pareti affrescate;. Dall’atrio si passa, poi, nella chiesa vera e propria, risalente al XII secolo. Si tratta di un edificio a tre navate coperte a capriate, alternate da pilastri e colonne: nella contro facciata si trovano degli  affreschi del XIV secolo, mentre i dipinti della navata sinistra sono di circa duecento anni più recenti. Il presbiterio ospita un complesso programma iconografico realizzato ad affresco tra 1324 ed il 1336, rappresentante scene della Vita della Vergine, di S. Giovanni, S. Pietro e S. Benedetto.
Nella cripta, restaurata ad inizio Novecento, da vedere assolutamente l’urna di S. Anastasia, risalente alla fondazione del complesso abbaziale, il dittico in marmo dell’Annunciazione (fine del XIII secolo) ed una Pietà (detta anche Vesperbild) di origine austriaca, realizzata in pietra policroma nel 1400. Tornando al presente, ogni anno tra luglio e agosto l’abbazia ospita i concerti di Sexto N’Plugged, manifestazione che porta in Friuli diversi musicisti di fama mondiale.

Uscendo dall’abbazia, consigliamo di recarsi in località Casette per ammirare la fontana di Venchiaredo, inserita nel parco letterario dedicato a Ippolito Nievo, che la descrisse nel suo romanzo Le confessioni di un italiano. La scalinata in pietra e lo sgorgare dell’acqua, uniti alla bellezza della natura che la circondano, rievocano quell’atmosfera bucolica e spensierata che colpirà anche Pasolini, tanto da spingerlo a dedicarvi un sonetto.

Da segnalare la presenza sul territorio comunale di tre ville venete: villa Attimis-Freschi-Piccolomini, di proprietà privata e non visitabile, sita nella frazione di Ramuscello e risalente al Seicento; la settecentesca villa Zanardini-Fabris-Fancello e villa Braida, situata nella frazione di Bagnarola, oggi albergo e ristorante. Tornando agli edifici religiosi, meritano una menzione la chiesa parrocchiale di Bagnarola, risalente al 1300 e affrescata da Pomponio Amalteo, e l’antica chiesetta di San Pietro, in aperta campagna. Da quest’ultima è opportuno procedere verso i vicini e suggestivi Molini di Stalis, situati lungo il corso del fiume Lemene al confine con il Veneto. Si tratta di un complesso di edifici per la macinatura risalente al basso medioevo e recentemente restaurato, che offre scorci ed angoli silenziosi di indubbio fascino.

Concludiamo la nostra visita con una passeggiata nella natura: i Prati Burovich sono il risultato di una serie di sistemazioni agrarie avvenute tra Settecento e Ottocento, che hanno dato portato come risultato la creazione di questo grande parco sulle rive del Reghena: larghe fasce di prato verde, interrotte qua e là da macchie di faggi, olmi e carpini, dalle quali ogni tanto fanno capolino volpi, uccelli e scoiattoli. Un comodo sentiero attraversa e costeggia i prati, fino ad arrivare al laghetto Premarine, ottenuto da una vecchia cava e sapientemente rinaturalizzato. Il luogo più adatto dove sedersi e, godendosi il tramonto, riemergere da questo piacevole tuffo nel passato.

 

Photo by: www.vivinfvg.it

 

 

 

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