Pordenone e Vienna distano tra loro sei ore di viaggio e, guardate sulla carta geografica, nulla farebbe pensare che nell’era del cavallo e delle carrozze spazi così ampi potessero essere attraversati dalle brame di duchi e imperatori. Eppure il nostro capoluogo venne conteso per molti anni tra i domini più importanti dell’epoca perché posizionato in un punto strategico, crocevia tra nord e sud Europa.
I primi contatti di Pordenone con l’Austria risalgono al 1221, quando i Babenberg, duchi d’Austria e di Stiria comprarono dai locali signori di Castello di Caporiaccio, vassalli del Patriarca di Aquileia, i diritti di dominio sulla città. Cinquant’anni dopo, Rodolfo I d’Asburgo, discendente del duca di Babenberg Federico II ed eletto imperatore d’Austria nel 1273, rivendicò i propri diritti sulla città vincendo le continue pretese avanzate dalla Chiesa aquileiese e dal re boemo Ottocaro II. È proprio da qui che ebbe inizio il lungo dominio austriaco su Pordenone.
La prima attestazione scritta promulgata dalla casata austriaca risale al 1291 ed era finalizzata a rafforzare il proprio dominio sul territorio. Si trattava di un protostatuto emanato dal duca Alberto I d’Asburgo. Il documento venne confermato da tutti i suoi successori fino all’adozione degli Statuta Portusnaonis del 1438 redatti dal delegato del re e dai rappresentanti della cittadinanza pordenonese appartenenti alle famiglie più ricche della città. Si trattava di un vero e proprio corpo normativo, un patrimonio giuridico che impartiva un ordinamento comunale, atto a tutelare l’ordine pubblico e a regolare i rapporti tra autorità ducale, il suo rappresentante e la comunità. In questi Statuti confluirono disposizioni emanate nel corso del tempo sin dall’epoca medievale. Pordenone, nonostante non si possa parlare di un’autonomia cittadina, conservò per tutti i secoli una certa libertà decisionale legata alle norme e consuetudini dell’urbe antica.
La casata d’Austria riuscì a mantenere il controllo sulla città fino al 1508 quando le fu strappata da uno dei poteri più forti dell’epoca moderna: la Repubblica della Serenissima. Dopo tre secoli di dominio veneziano, numerosi rivolgimenti politici e militari portarono gli Asburgo a riappropriarsene e Pordenone entrò a far parte del Regno Lombardo-Veneto. Correva l’anno 1815. Come scrive Vendramino Candiani, il primo sindaco della città unita al Regno d’Italia: “il secolo XIX nacque come morì il suo predecessore e cioè in mezzo agli sconvolgimenti politici, civili e sociali, che ebbero una forte ripercussione anche sulla vita morale e materiale della nostra città che, specialmente nei primi anni patì, per le guerre lunghissime, disastrose che qui si combatterono fra le armate austriaca e francese per disputarsi le spoglie della distrutta Repubblica di S. Marco”.
Pordenone divenne così capoluogo di Distretto nella Provincia del Friuli governato dall’amministrazione comunale (chiamata Congregazione municipale) composta dal podestà e quattro assessori di rango nobile. Per l’accesso alle cariche pubbliche, gli austriaci, per la prima volta, vollero far concorrere sia membri della nobiltà cittadina che della borghesia per evitare che il potere rimanesse di appannaggio delle famiglie di antico lignaggio.
L’Ottocento fu per Pordenone un secolo di svolta anche grazie alla costruzione della strada napoleonica nel 1821 e della ferrovia nel 1855 che favorirono l’intensa attività manifatturiera avviata in città. Verso la metà del secolo, però, l’Austria aumentò le tasse (a causa delle prestazioni di guerra) pesando ulteriormente sulle finanze del comune. Inoltre, sull’entusiasmo delle rivoluzioni del 1848, crebbe il malcontento nei confronti del dominatore straniero.
Dopo la terza guerra d’indipendenza del 1866, la città fondata sul fiume Noncello divenne italiana e Vittorio Emanuele II fu accolto come “il liberatore benedetto e magnanimo, vaticinato e sospirato in secoli di lunga attesa e di lungo martirio”. Proprio nella via storica a lui dedicata, rimangono le principali testimonianze visibili della presenza austriaca in città: si tratta di uno stemma con uno scudo rosso e bianco, i colori simbolo della casata asburgica.
Storica dell’arte, per molto tempo mi sono dedicata alle rubriche Radici nel tempo e Voli sul territorio, nel tentativo di valorizzare l’incomparabile patrimonio storico e artistico della mia regione. Oggi, faccio parte del consiglio direttivo dell’associazione e mi occupo di comunicazione.
Come ogni mancina che si rispetti, mi scivola tutto tra le mani. Qualche volta riesco a tenere ferma una penna, ma litigo con le parole. É con i libri già scritti che ho più affinità.