Scusi, lei scriverebbe un romanzo con il computer ? è il titolo di un’inchiesta condotta nel 1983 per conto dell’inserto Tuttolibri del quotidiano La Stampa. La domanda, a quell’epoca, aveva ricevuto in risposta una maggioranza di “no”. Se pensiamo che oggi la telematica è alla base di ogni settore della quotidianità, compresa l’attività autoriale, ci si accorge che nell’arco di qualche decennio le cose sono radicalmente cambiate.
Se n’è discusso stamattina all’incontro “Tu chiamalo, se vuoi, e-taliano”, con lo storico della lingua italiana Giuseppe Antonelli, la scrittrice Caterina Bonvicini e la linguista Valeria Della Valle. ‘E-taliano’, ha spiegato Antonelli, è una parola che è stata recentemente inclusa nel dizionario dei neologismi, e indica una varietà di italiano impiegata nell’ambito della comunicazione telematica. Una modalità di scrittura completamente diversa da quella tradizionale che peraltro ha consentito a una buona fetta della società, che fino al secolo scorso smetteva di scrivere dopo la fine della scuola, di avere a che fare con le parole scritte.
Quindi un versante positivo ci sarebbe, in barba a quel mito che criminalizza ossessivamente il linguaggio degli sms, delle chat e dei social. Specie di fronte alle abbreviazioni, la tendenza è quella di imputare ai nuovi mezzi di comunicazione la colpa di assistere alla distruzione dell’italiano. In realtà, spiega Della Valle, abbreviazioni ed emoticon non sono una novità telematica poiché hanno sempre rappresentato il bisogno di risparmiare tempo e di denaro, sin dai tempi più remoti. Basti pensare alle epigrafi romane o ai documenti medievali, che impegnano quotidianamente gli studiosi nel sciogliere abbreviazioni e disegnini a margine del testo.
La verità è che bisogna essere consapevoli che l’e-taliano è solo uno dei modi con cui ci si può esprimere, e deve essere tenuto ben distante dall’italiano standard, richiesto in contesti formali di scrittura. Una consapevolezza a cui bisogna educare i giovani, poiché vi è il rischio che l’eccessiva abitudine a un discorso frammentato e dialogato come quello delle chat porti a un difetto dell’aspetto formale – e soprattutto di collegamento sintattico – in testi prodotti a scuola o all’università. È vero infatti che la lingua cambia come ha sempre fatto, ma badiamo bene: i puntini di sospensione sono sempre e solo tre.
Sono nata a Pordenone il 29 novembre 1993 e sono una studentessa del corso di laurea magistrale in Filologia e letteratura italiana dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ho alle spalle una laurea in Lettere moderne e un’esperienza di studio presso il Dipartimento di Letteratura francese e comparata dell’Università Sobonne Paris IV. Le mie più grandi passioni sono la letteratura, l’arte e lo yoga ma mi interesso anche di lingua e cultura francese. Il mio mondo gira intorno alle parole e spero un giorno di poterne fare una professione.