Fino a non moltissimi anni fa, da aprile a giugno, le case dei contadini della nostra pianura venivano invase dai bachi che, cresciuti su grisole, graticci, si trasformavano in bozzoli di seta. Tanto per dare dei numeri: le uova delle farfalle venivano vendute a once; un’oncia corrispondeva a 60 mila uova. Una volta nati i bachi avevano bisogno di un totale di circa 70 metri quadrati di spazio e oltre 1000 kg di foglie di gelso, loro unico alimento. Da un’oncia di uova si producevano 120 kg di bozzoli, cioè quasi 30 kg di seta. I contadini portavano i bozzoli essiccati nelle filande e venivano pagati in base alla quantità e alla qualità dei bozzoli prodotti: nonostante infatti l’allevamento dei bachi fosse un’attività che durava circa un mese, per le famiglie contadine rappresentava un’importante integrazione al proprio reddito.
Prima dell’industria del legno e degli elettrodomestici era la lavorazione della seta l’attività manifattura più importante del pordenonese. Le filande, infatti, sorgevano numerose: da Caneva a Spilimbergo, passando per Prata, Pordenone, Cordenons, San Vito e anche altrove. Oggi queste strutture non esistono più, nei casi migliori sono state trasformate in altre attività, come a Maniago, dove al posto dei filatoi ora ci sono i libri della biblioteca comunale. Quella che raccontiamo è la storia della filanda Zangrando di Azzanello di Pasiano, una delle ultime nella nostra provincia a cessare la propria attività.
Ad Azzanello era esistita un’altra filanda, attiva da inizio Novecento, chiusa in seguito alla crisi del 1929. Si ricomincia a parlare di filanda nel 1957 per iniziativa di Rino Zangrando. In quegli anni si stanno avviando industrie rivolte ad altri settori, mentre le filande vengono abbandonate: una scelta controcorrente che poteva incontrare minore concorrenza e maggiori profitti. Lo stabilimento si trova ai margini di Azzanello, sulla strada che collega la piccola frazione a Pasiano, è costituito da un unico grande stanzone e da una ciminiera. Qui i bozzoli portati dai contadini diventano filo attraverso una procedura complessa, che prevede la selezione dei bozzoli, la loro immersione in acqua calda, la filatura, la pulitura e l’asciugatura delle matasse. Nella prima fase della vita dell’azienda i macchinari usati sono antiquati e le operaie occupate, le filandine, circa ottanta. Ma Zangrando aveva intuito bene, la sua attività decolla: nel 1963 si amplia lo stabilimento e le filandine sono un centinaio. La comparsa delle fibre sintetiche e la concorrenza cinese causano il calo della domanda di seta e costringono l’imprenditore a chiudere l’attività. È il 1969. La filanda riapre nel 1977 con macchinari più moderni ma personale decimato: solo 8 persone. La morte dell’imprenditore nel 1989 segna la fine definitiva dell’azienda. La concorrenza ormai è forte, le spese da sostenere troppo alte per mantenere l’attività. Vendute le macchine, Milena, la figlia di Zangrando, avvia una rivendita di tessuti, tuttora attiva.
Per molti, però, la casa ai margini di Azzanello, rimane ancora “la filanda”.
Nata a Pordenone nel 1993, mi sono laureata in Storia a Ca’ Foscari (Venezia), dove sto proseguendo gli studi in Storia Contemporanea. Tra i fasti della Serenissima ho scoperto la passione per le zone industriali e ora mi sto specializzando in storia del lavoro e dell’impresa. Guido cantando – solo quando sono sola, perché mi vergogno – e non esco mai senza un romanzo e un registratore con batterie di riserva: convinta che le storie si nascondano ovunque, non voglio essere impreparata quando ne scovo una.