“Assassinio sull’Orient Express” è un capolavoro letterario che rappresenta sicuramente uno fra gli esempi più celebri della letteratura legata al tema ferroviario. Il treno, però, non è soltanto fonte di ispirazione per racconti e storie letterarie, ma è un luogo in cui la letteratura può essere vissuta, in cui i libri si consumano davvero.

Romano Vecchiet, friulano nato a San Daniele, autore del libro “Il fascino del treno”, presentato questo pomeriggio a Pordenonelegge dallo scrittore Giulio Mozzi per Ediciclo editore, dipinge il treno come un luogo mistico, in cui le storie per la letteratura si uniscono alle storie di lettura. Si tratta di una piccola pubblicazione definita dall’autore “un canto d’amore per il mezzo stesso”, che provoca in chi lo utilizza dei sentimenti opposti: passioni contrastanti, da un lato, rappresentate nella letteratura da autori come Flaubert, e nell’attualità da movimenti come il no Tav, e passioni sfrenate, dall’altro, proprio come quella di Vecchiet.
Nella mente dell’autore il treno rappresenta poi la possibilità di sedere di fronte a chi viaggia con noi, compagni di treno e di vita al tempo stesso, e lateralmente la proiezione del paesaggio, sfondo di storie e racconti ferroviari. Il fascino del treno però si spiega anche nella promiscuità dei vagoni letto, delle cuccette in cui uomini e donne potevano passare oltre 8 ore assieme, nel silenzio del loro viaggio, senza essere disturbati. Da qui lo scrittore si lascia andare ad un flusso malinconico di pensieri, in cui le stazioni locali, caratterizzate dai fiori sulle finestre, dalle piazze giardino così ben curate e candidate ai concorsi per indire quale fosse la più bella, rimangono nell’orizzonte della generazione scorsa solo un lontano ricordo, e una nostalgica gelosia per il passato nei più giovani.
Cioè che accomuna presente e passato dei viaggi su binari, però, è sicuramente la condivisione di uno spazio chiuso, da cui possono nascere conversazioni accese, storie d’amore, litigi. L’interclassismo dominante, inoltre, resta una delle prerogativepiù comuni per la vita su rotaie: tante persone diverse, di estrazione sociale come di etnia, che ogni giorno condividono gli stessi spazi, alle stesse ore, negli stessi luoghi, tanto da riconoscersi l’un l’altro e trovare reciproca serenità nel viversi giorno dopo giorno.
Nella vita dell’autore, inoltre, l’associazione fra treno e biblioteca risulta piuttosto spontanea, visto il suo impegno come bibliotecario. Per lui il treno rappresenta sì un luogo d’incontri stimolanti, come accade nei banchi di lettura, ma anche un luogo intimo dove poter ricercare la propria tranquillità molto più che altrove, dove sentirsi a casa, per molti, è estremamente più facile.

La piacevole chiaccherata con Romeo Vecchiet si conclude con una considerazione lanciata da Giulio Mozzi, sempre molto attento nel presentare talenti e autori sicuramente poco noti, ma molto validi. In un’epoca in cui le linee ferroviarie e le stazioni perdono d’importanza, per l’aumentare dei mezzi alternativi disponibili, e con queste diminuisce il fascino stesso provocato dal treno, gli esempi nella letteratura passata e presente permettono di intravedere un momento per così dire roseo nella realtà friulana. Basti pensare, ricorda Vecchiet, che la prima testimonianza della letteratura ferroviaria ha visto proprio in un tragitto friulano la sua realizzazione: era il 1849, a poco più di dieci anni dall’allestimento della prima linea ferroviaria sul suono italiano, quando apparve la prima testimonianza storica di un’opera letteraria il cui tema è legato al fascino di un viaggio in treno, un viaggio attraverso il Friuli verso l’Austria.