La famiglia è il laboratorio dove ognuno di noi sperimenta la vita: pordenonelegge ha voluto dedicare un incontro a questo tema invitando Beatrice Masini ed Elena Varvello, autrici rispettivamente di Il nome che diamo alle cose e La vita felice, romanzi molto diversi fra loro ma con alcuni punti d’incontro.

La Masini nel suo libro ci narra  di una donna, Anna, che riceve in eredità da una scrittrice una villa: trasferendosi là inizia una nuova vita e, spinta dal ritrovamento di una serie di racconti inediti della padrona di casa, decide di ricostruire la vita della donna, per pubblicarne una biografia. Questo la porta a rinunciare alla sua tendenza di isolarsi dal mondo e ad avere molti contatti con gli abitanti del paese, che le possono fornire informazioni utili.

L’autrice ci spiega come il titolo del suo romanzo sia riferito al messaggio più profondo che contiene il libro: “È troppo facile – dice la Masini – dare certi nomi alle cose e affezionarsi ad essi senza poi essere disponibili a cambiare idea.

Così come in questo romanzo è prevalente la figura femminile, in quello di Elena Varvello lo è quella maschile: le due autrici spiegano al pubblico di pordenonelegge che è normale, in un libro, assumere in particolare uno dei due punti di vista, ma che con un po’ di attenzione si nota che non manca mai anche l’altra parte.

Il protagonista di La vita felice è Elia, un sedicenne il cui padre Ettore avendo perso il lavoro si chiude in se stesso, disperato, e assume comportamenti poco raccomandabili, culminanti in un episodio avvenuto una certa notte d’estate. Quella notte cambia la vita di Elia: la particolarità del romanzo è la modalità di scrittura, in quanto l’autrice alterna capitoli titolati (in cui un Elia trentenne racconta l’estate del 1978 che ha preceduto quella famosa notte) a capitoli numerati (in cui il ragazzo cerca di immaginare, quella stessa notte, che cosa sta accadendo al padre).

Il titolo di questo libro, ironicamente contrastante con lo svilupparsi della vicenda, deve in realtà essere letto come una domanda: la vita può essere felice? Sì, la Varvello ci crede, e spiega come “la felicità è nelle nostre mani, a due condizioni: avere compassione profonda e perdonare gli altri e noi stessi.” L’autrice affida questo messaggio alla figura della mamma di Elia, che – ci rivela la Varvello – sotto questo punto di vista è la donna che lei stessa non riuscirà mai a essere, in quanto non giudica e non condanna perché ama.