“Pordenone è una brutta città?” è questa la domanda sottesa all’incontro “La città nel Novecento” tenutosi a palazzo Montereale Mantica nell’ambito di Pordenonelegge da Annalisa Avon, Moreno Baccichet e Paolo Tommasella e moderato da Marco Minuz.
In realtà, però, è un’altra la questione fondamentale su cui i relatori riflettono presentando i loro due libri, Architettura e città. Pordenone dal primo Novecento agli anni Settanta della Avon e la guida Pordenone Novecento a cura di Baccichet, Tommasella e Andrea Catto: quali sono le storie che si celano dietro le architetture della città? Certamente la conoscenza di queste vicende permette di comprendere al meglio non solo la struttura del singolo edificio, ma anche della città nel suo complesso e possono contribuire ad alimentare il sentimento di orgoglio e appartenenza dei cittadini. L’analisi del volto che Pordenone assume all’indomani del secondo conflitto mondiale, dunque, è il modo per comprendere più in profondità la sua rapida trasformazione.
Nel corso dell’incontro si è anche riflettuto su quanto si sia trasformato il ruolo dell’architetto e sul fatto che questa figura professionale abbia stretto un legame particolare con gli imprenditori in particolare negli anni Sessanta: è questo il momento, infatti, in cui l’architetto viene visto come portatore di innovazioni tecniche e quindi come colui che ha le capacità per trasformare il volto della città.
Lo scopo dei due volumi presentati durante la conferenza è dunque quello di studiare il modo in cui si sono trasformati gli spazi e le azioni dei cittadini in essi. In questo orizzonte vanno assumendo grande importanza le periferie cittadine di Pordenone e non solo, sempre più radunare le comunità.
Nata a Pordenone nel 1993, mi sono laureata in Storia a Ca’ Foscari (Venezia), dove sto proseguendo gli studi in Storia Contemporanea. Tra i fasti della Serenissima ho scoperto la passione per le zone industriali e ora mi sto specializzando in storia del lavoro e dell’impresa. Guido cantando – solo quando sono sola, perché mi vergogno – e non esco mai senza un romanzo e un registratore con batterie di riserva: convinta che le storie si nascondano ovunque, non voglio essere impreparata quando ne scovo una.