Una grande storia che caratterizza l’Italia e la cultura italiana è senza dubbio quella delle università: Bologna, Padova, Napoli e molte altre per il loro passato rappresentano uno dei principali caratteri distintivi e di orgoglio del nostro paese. Basti pensare che prima del 1500 nel mondo esistevano 53 università, delle quali 18 nel solo territorio territorio italiano (seguivano per numero le 9 della Germania, le 7 della Spagna e le 3 della Francia, le 2 dell’Inghilterra). Sono le scuole dei grandi dottori, dove un tempo accorrevano in massa studenti da tutta Europa, frutto dell’orgogliosa iniziativa dei singoli stati pre-unitari e rinascimentali. Grandi menti si sono formate tra quei banchi, tra cui Copernico, Galileo, Torquato Tasso, Tommaso d’Aquino e molti altri.

Molte altre università invece sono più recenti ma possiedono in ogni caso una storia tutta particolare. E’ questo il caso dell’università di Trieste. In molti sanno che l’attuale ateneo fu fondato nel 1924, come Regia Università degli Studi Economici e Commerciali, sulle fondamenta della preesistente Scuola Superiore di Commercio (1877); ma ben meno nota è la strenua battaglia che si dovette combattere ben prima al fine di ottenerla, e che coinvolse tutti gli italiani d’Austria, dal Trentino all’Istria, alla Dalmazia. Per meglio capire di cosa si sta parlando è bene puntare gli orologi e partire dall’anno 1867, all’epoca dell’Impero austro-ungarico.

Perse, con la Terza guerra d’Indipendenza italiana, l’università di Padova e Pavia, unici atenei italiani del vecchio Impero austriaco, si era fatta sin da subito presente la necessità per gli studenti italiani di un istituto universitario in cui essi potessero imparare utilizzando la loro lingua. Già prima, nel 1863, un deputato trentino alla Dieta di Innsbruck aveva tentato di portare qualche corso parallelo a quelli tedeschi in lingua italiana nell’università tirolese, cosa che sarebbe poi riuscita ma con grandi malumori da parte sia degli abitanti tedeschi che da parte degli italiani. Se da un lato, infatti, non si vedeva di buon occhio questi ultimi (le guerre d’indipendenza contro l’Austria erano cominciate meno di 20 anni prima), dall’altro si voleva chiedere un università fatta e finita che parlasse unicamente la lingua di Dante.

Luogo scelto per questo ateneo sarebbe stato Trieste, la maggiore città italiana in Austria nonché porto principale dell’Impero, centrale e non troppo distante da Trento, né da Pola, né da Zara, città all’epoca in larghissima maggioranza italiane. Per tutta la seconda metà del XIX secolo si susseguirono una grande serie di dibattiti, richieste, mozioni e concessioni politiche nel Parlamento di Vienna e nella Dieta di Innsbruck ma, per la diffidenza delle amministrazioni locali e non, ciò che si ottenne furono solo mezze concessioni, tra l’altro ben lontane da Trieste e non adatte alle richieste: il Governo temeva che questo nuovo ateneo potesse diventare centro incubatore dell’irredentismo.

Fu alla fine del secolo che gli studenti, trentini, triestini e giuliano-dalmati cominciarono a muoversi. Nel biennio 1893-1894 nacquero due associazioni studentesche in Trentino, la Società degli Studenti trentini e l’Associazione universitaria cattolica trentina, mentre a Trieste nacque, nel 1902, l’Innominata: quest’ultima era così chiamata per il rifiuto delle autorità a concedere il nome Società degli studenti della Venezia Giulia. Rispetto alle altre due, essa non avrà molta fortuna.

Nelle associazioni trentine cominciarono a muovere i primi passi due grandi personaggi della storia italiana del ‘900: per la Società trentina Cesare Battisti, per quella cattolica Alcide de Gasperi. Entrambi non condividevano molti punti di vista, essendo uno socialista e uno cattolico, ma erano senza dubbio uniti nel chiedere l’istituzione di un università in lingua italiana. Battisti in particolare fu tra i più attivi:  a gesto dimostrativo, nel 1903, con la collaborazione di altri, avviò un progetto provocatorio di un’Università Libera a Innsbruck, a cui partecipò anche l’Innominata, destinata a fallire sin da subito a causa della repressione delle forze di polizia.

Questo piano non era il solo. Contemporaneamente gli studenti italiani ne avevano elaborato un altro, ben più complesso ma efficace: nome in codice “Tutti a Innsbruck!”. Il piano si sarebbe svolto in quattro fasi distinte: inizialmente si sarebbe concentrato a Innsbruck il maggior numero di studenti italiani possibile, al punto da rendere difficile, se non impossibile, lo svolgimento delle lezioni parallele; a quel punto le autorità avrebbero concesso una divisione dell’università in due enti nazionalmente distinti; una volta ottenuto l’ateneo italiano, sarebbe entrata in gioco l’opposizione della popolazione della città, la quale avrebbe spinto il governo, sollecitato ormai da più parti, a trasferire l’università a Trieste.

Il piano prese il via nel 1903, e cominciò a dare risultati l’anno successivo, quando, proprio a causa dell’iscrizione massiccia, venne inaugurata la “Facoltà provvisoria di diritto e scienza politica con lingua d’insegnamento italiana” in Innsbruck. Ciò che invece non fu previsto fu la reazione rabbiosa e violenta dei cittadini e degli studenti tedeschi, i quali si sfogarono direttamente sugli italiani. La notte del 3-4 novembre 1904, successiva all’inaugurazione, è ricordata per essere il più grande episodio di violenza a danno degli studenti e della comunità italofona: vennero presi d’assalto i luoghi di ritrovo italiani della città e la stessa nuova facoltà venne completamente distrutta. Molti studenti furono arrestati, tra cui Battisti e de Gasperi, presenti sia all’inaugurazione che agli scontri.

Fu il punto di non ritorno. Il piano era fallito e si era arrivati in una situazione in cui il dialogo sarebbe servito poco o niente: gli studenti italiani si radicalizzarono sempre più nel motto “Trieste o Niente!” mentre dal governo ci furono sempre meno aperture. Si era alla vigilia della Grande Guerra: l’irredentismo, prima quasi inesistente, era ormai diffusissimo non solo in Trentino ma anche a Trieste, in Istria e in Dalmazia; non c’era nemmeno più voglia di venire a patti e solo con la fine della guerra la questione si sarebbe risolta. Nel frattempo sarebbero passati 20 anni.

Foto copyright: Alessio Conte.

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