Nell’immaginario comune il ghetto viene solitamente e principalmente associato a motivi di carattere religioso. Ugualmente lo stereotipo dell’ebreo medievale che esercita quasi obbligatoriamente la professione di strozzino è ben radicato, ma assistendo all’incontro con lo storico milanese Giacomo Todeschini, autore del saggio La banca e il ghetto. Una storia italiana, non si può che arrivare alla fine della breve lezione di storia senza aver riconsiderato le proprie certezze.
Ed è proprio l’introduzione dell’elemento economico nell’analisi di un fenomeno tutto italiano come quello dei ghetto a ribaltare le carte in tavola: non a caso, se nel 1516 a Venezia veniva fondato il prima ghetto, negli stessi anni nasceva un nuovo modello finanziario: la banca pubblica.Per comprendere a fondo il nesso tra finanza e segregazione degli ebrei bisogna però fare un passo indietro e tornare all’inizio del Trecento, periodo in cui la convivenza tra ebrei e cristiani è, per gli standard del tempo, più o meno pacifica.
A partire da questo secolo il sistema bancario comincia a connotarsi come arma di potere politico, grazie alla quale le oligarchie al potere nei diversi regni in cui è divisa l’Italia possono accrescere il potere sui propri domini: grandi famiglie come Medici, Sforza, Gonzaga sono facilmente associabili ad un’attività bancaria che però limita il proprio raggio d’azione alle operazioni di alta finanza, legata ai ceti alti della società. Rimane così parzialmente scoperto il mercato legato alle classi sociale medio/basse, che consiste per la maggior parte di piccoli prestiti ad interesse.
Per colmare questo buco, la soluzione più adottata dai signori delle singole città consiste nell’affidare queste ultime attività alla minoranze ebree presenti sul territorio, lasciandogli molta libertà sulla gestione delle regole di mercato, fatto che molto spesso porta ad un innalzamento eccessivo dei tassi d’interesse.
Dalla metà del Quattrocento questo sistema “duopolistico” inizia però ad entrare in crisi. La spiegazione di questo fenomeno risiede nella crescita degli interessi della Chiesa, che intende rafforzare l’egemonia cristiana in campo economico impossessandosi della fetta di mercato gestita dai banchieri ebrei. Appoggiando in un primo tempo la propaganda francescana sull’etica sociale, che mirava ad istituire degli enti dediti all’assistenza dei più poveri, vengono fondati i primi monti di pietà, istituti bancari finanziati pubblicamente.
Le principali differenze rispetto alle banche gestite dagli ebrei erano la stabilità del tasso d’interesse (che quasi ovunque si aggirava sul 5%) ed i requisiti richiesti al beneficiario del prestito: in pratica i prestiti di queste nuove banche cristiane venivano concessi solamente ai poveri meno poveri e di certificata rettitudine morale, mentre il sistema bancario ebreo faceva affari con quasi chiunque.
Così facendo la Chiesa si garantì il diritto di classificare qualsiasi attività praticata dagli “infedeli” come “dubbia” ed immorale, ponendo le basi per una progressiva marginalizzazione degli ebrei che porterà alla fondazione dei ghetti, vero e proprio simbolo della subalternità politica giudea. Da questa convivenza separata si genereranno molti degli stereotipi sulla figura dell’ebreo medievale, che sconfineranno sempre di più nella sfera religiosa.
Photo by: Mattias Gerometta
Spilimberghese di origine montanara, sono nato a Udine nel freddo settembre del ’95 e ci sono tornato quasi vent’anni dopo per frequentare l’università, facoltà di Mediazione Culturale. Bassista per necessità, appassionato di sport e cultura per vocazione, ancora oggi faccio fatica a non meravigliarmi davanti alla bellezza del Tagliamento e delle nostre montagne. Da qui il mio naturale approdo a “Voli”.