Un articolo, un servizio sul telegiornale, non sono generati da un computer. Dietro le parole dette, o scritte, c’è un nome, una persona in carne ed ossa, e quelle stesse parole gravano direttamente sulle sue spalle. Leggete un qualsiasi articolo di politica estera: il titolo a caratteri cubitali, le immagini laceranti di Libia, di Yemen, di Sud Sudan, e c’è un nome scritto in grassetto sotto il titolo, è alla luce del sole, ma è invisibile. La mente umana è perversa: vuole il sangue, i morti, ma ignora chi li racconta.
Era solo un nome quello di Ilaria Alpi, giornalista del TG3 uccisa in Somalia il 20 marzo 1994 insieme al suo operatore, Miran Hrovatin. Un nome che però da quel giorno di ventidue anni fa si è fatto strada, in Italia e nel mondo, un nome che è spesso divenuto a sua volta un titolo, si è conquistato la prima pagina, i caratteri cubitali, le immagini laceranti. Spesso è solo questo, che può rendere famoso un giornalista.
“Ilaria Alpi: il prezzo della verità”, graphic novel di Marco Rizzo e Francesco Ripoli, edita da Becco Giallo nel 2010: un altro doveroso tentativo di far luce su una delle vicende più torbide della storia giornalistica e giudiziaria italiana. Giudiziaria, perché la morte della Alpi non è stata che l’inizio di una interminabile serie di inchieste, procedimenti e sentenze processuali, tuttora in corso. Proprio in questi giorni il presidente della Camera Laura Boldrini ha annunciato il desecretamento di tutti i documenti relativi al caso Alpi-Hrovatin; 13mila pagine di archivio disponibili online per chiunque ne faccia richiesta. Chi l’ha uccisa? Ma soprattutto, chi ha ordinato la sua esecuzione? Oltre alla storia degli ultimi giorni dei due giornalisti italiani, la graphic novel si propone di far luce sul contesto della guerra civile e dell’inchiesta seguente all’omicidio, mediante una cronologia degli eventi e una serie di interviste a vari personaggi coinvolti nelle vicende.
Il contesto storico è molto eloquente. Nel 1991, dopo la caduta del dittatore Siad Barre, appoggiato dal Partito Socialista Italiano, la faida tra i due principali contendenti alla presidenza dello Stato (Ali Mahdi Mohamed e Farah Aidid, entrambi tra le fila del Congresso della Somalia Unita, organizzazione paramilitare di destra e anti regime) precipita il paese in una guerra civile, dividendo in due la capitale Mogadiscio. È questa la situazione in cui Ilaria Alpi lavora come inviata in Somalia, prima con l’operatore Alberto Calvi, poi con Miran Hrovatin, triestino della comunità slovena, con cui se ne parte per l’ultimo viaggio il 12 marzo 1994.
Anche dopo la caduta di Siad Barre l’Italia mantiene stretti i contatti con l’ex colonia, e la Alpi ne è ben al corrente. Infatti, in quest’ultima permanenza in Somalia è impegnata in un’inchiesta molto pericolosa: indaga su uno dei sei pescherecci donati dal governo italiano all’azienda somala Shifco, reputato al centro di un traffico di rifiuti tossici provenienti dall’occidente, da sotterrare in Somalia in cambio di armi. Un’inchiesta che si rivelerà fatale, e che non verrà mai chiarita del tutto anche a causa di clamorosi depistaggi sia italiani che somali; il prezzo della verità.
Districarsi tra le innumerevoli fazioni ed interessi in gioco nella guerra civile somala è necessario anche per comprendere la situazione geopolitica attuale, soprattutto alle porte di un intervento occidentale in Libia, dove la giungla è resa ancora più fitta dall’aggravarsi del fondamentalismo islamico. Il genere della graphic novel si dimostra in questo senso particolarmente adatto ai temi di guerra: riesce ad enfatizzare i fatti tramite le immagini, rendendo la lettura scorrevole ed accattivante senza bisogno di esagerazioni. Il lettore è portato a pensare, a parlarne, perché è necessario parlare di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin; è necessario collegare i nomi alla storia, a ciò che la loro morte ha risvegliato nelle coscienze. Tanti giornalisti nel mondo hanno condiviso la loro sorte, ma tanti altri sono ancora vivi, ancora in mezzo ai leoni, a rischiare la vita per due righe che il mondo vorrebbe ignorare.
Sono nato a Pordenone nel 1993. Mi divido tra musica e lettere; gli studi classici, la scrittura e le lingue straniere, si accompagnano a pianoforte, chitarra, voce e teatro. Mi interesso di geopolitica e diritti umani e già mi sono imbarcato in varie esperienze di volontariato, soprattutto in Palestina.