C’è una parte di Pordenone che vive più nel ricordo che nelle cartoline: una zona che sa di pietra consumata, di sere lente e di passi che rimbalzano tra le case. Piazza della Motta appartiene a questa categoria di luoghi che custodiscono più di quanto mostrino. Per decenni è stata un piccolo teatro quotidiano, dove il passato e il presente si passavano la palla come attori esperti. Al centro di quel palcoscenico, fino agli anni Sessanta, c’era un arco. Non un arco qualsiasi, ma “il nobile interrompimento” — un nome che già di per sé basterebbe a scrivere un romanzo.
Immaginate Pordenone nei primi decenni del Novecento. Niente ancora a che vedere con l’energia industriale degli anni successivi; piuttosto un paesaggio fatto di botteghe, di mercati contadini, di cortili e di giorni che scorrevano senza pretese. In questo tessuto urbano nasce la Cantina Pavan, un’impresa locale che cresce piano, senza clamore, con la pazienza delle fermentazioni lente.
L’arco della Motta — parte di un edificio secolare, il fabbricato Brusadin — era più di una struttura architettonica. Era un gesto della città. Un modo di dire: “qui le cose non scorrono dritte, seguono la loro storia”.
In quel contesto, tra le attività che vivevano e lavoravano in quell’area, compariva anche la Casa Vinicola Pavan.
Casa Vinicola Pavan continuò a lavorare ancora per anni, ma il mondo del vino nel frattempo stava cambiando. Arrivavano nuovi gusti, nuovi mercati, nuovi standard qualitativi. Cresceva il bisogno di spazi più ampi, tecnologie aggiornate, logistiche moderne. Le cantine urbane, per quanto affascinanti, diventavano difficili da gestire. La produzione si spostò, infatti, a San Quirino, in Via Pordenone 33. Spazi nuovi, comodi, pensati per accogliere la trasformazione.
Infatti il destino della Pavan fu proprio quello della trasformazione.
Tra la fine del Novecento e i primi Duemila, la sua eredità — materiale e immateriale — entrò nelle mani di una delle realtà più dinamiche del momento: Piera Martellozzo, ora Piera 1899. Un’azienda capace di raccogliere la tradizione e rielaborarla, con una visione contemporanea, elegante e insieme radicata.
Si potrebbe dire che la storia della Pavan e quella dell’arco siano due curve della stessa parabola: una città che non sta ferma, che perde qualcosa per guadagnare qualcos’altro, che si scrive e si riscrive senza soluzione di continuità. E in fondo è questo il destino dei luoghi: cambiare forma, ma non sostanza.
Piazza della Motta, anche senza il suo nobile interrompimento, continua a essere un punto in cui la città sembra ricordare a se stessa ciò che è stata. Se ci passi in un giorno di febbraio, quando la luce si appoggia lenta sulle pietre e il vento porta un odore che non sai definire, potresti quasi sentire — dietro un portone, in fondo a un vicolo — un profumo leggero di vino. Una memoria che non se ne vuole andare.
Per approfondire:
- Propordenone.org, *Il nobile interrompimento s’ha da rifare… sul serio* — ricostruzione documentale della demolizione dell’arco (1960–1963), con delibere e cronologia.
- StoriaStorie.org, *Cantina Pavan di Pordenone: memorie locali e testimonianze* — storia aziendale e trasferimento a San Quirino.
Sono nato a Pordenone. Mi sono laureato in Viticoltura ed Enologia presso l’Università degli Studi di Udine e ora mi occupo di marketing e comunicazione per una startup nel settore dell’enoturismo. Adoro tutto ciò che ha un buon profumo ed è buono da mangiare. Sono un divoratore di film e di qualsiasi sport esistente sul pianeta. Comunicare è ciò che mi rappresenta, quindi se parlo troppo non lamentatevi, vi avevo avvisato!