La nostra regione va molto orgogliosa della propria cultura, delle tradizioni e della lingua friulana. Anche se oggi le statistiche parlano di una riduzione del numero di persone che la parlano, l’abitante friulano ci terrà sempre a far notare, a coloro i quali avessero la malaugurata idea di affibbiarle l’appellativo di “dialetto”, che la “marilenghe” dialetto non lo è dato che gode a tutti gli effetti dello status di lingua. Questo status, riconosciutole ufficialmente dallo Stato italiano nel 1999, ha fatto sì che con il tempo il furlan ottenesse anche l’accesso alle scuole e all’università dove tuttora viene insegnato e studiato. Di derivazione latina, il friulano si è sviluppato dapprima come lingua parlata, dato che le prime testimonianze scritte risalgono all’inizio del XII secolo quando ormai era già diffuso tra la popolazione.

Le varianti dialettali del friulano che si sono progressivamente sviluppate nel tempo possono essere ricondotte fondamentalmente a quattro gruppi che sono: il friulano orientale (parlato nel goriziano), il friulano occidentale o concordiese (aree friulanofone della provincia di Pordenone), il friulano carnico e il friulano centrale che rappresenta il gruppo più consistente e “ricopre” la provincia di Udine esclusa la Carnia. Ovviamente questa classificazione può risultare forzata se si tiene conto del fatto che le effettive varianti sono moltissime, con differenze, magari lievi, ma riscontrabili anche solo spostandosi da un paese ad un altro. Bisogna altresì considerare che il Friuli costituisce da sempre uno spazio di incontro e di contatto interculturale ed interlinguistico per motivi storici e geografici.

A questo proposito il caso della città di Udine merita un approfondimento. Nella capitale del Friuli infatti ha avuto modo di svilupparsi un dialetto singolare, quello udinese appunto, della cui esistenza molti si sono scordati o addirittura la ignorano. Nato all’epoca della dominazione della città da parte della Repubblica di Venezia, questo “dialetto venetoide”, come è stato definito dal famoso linguista Giovanni Frau, rappresenta una sorta di variante di transizione tra le lingue veneta e friulana ed è caratterizzato da espressioni tipiche come “vustu”, “gastu”, “distu”, “sastu” e “fastu”. Inizialmente si diffuse in maniera esclusiva tra le classi agiate e borghesi della città che lo ritenevano una sorta di simbolo del loro alto stato sociale, che potevano sfoggiare parlando in dialetto. D’altro canto all’epoca la maggior parte dei cittadini udinesi parlava il friulano o, in parte minore, il tedesco e lo sloveno. In questa situazione di “convivenza” con una varietà linguistica diversa, il dialetto veneto udinese ha intrapreso un percorso di sviluppo che lo ha portato a discostarsi sempre più dal dialetto veneziano antico da cui è derivato e a renderlo oggi molto diverso dal friulano. Un percorso totalmente dissimile dunque da quello che ha portato alla formazione di altri idiomi di stampo veneto parlati in Friuli Venezia Giulia come quello presente in provincia di Gorizia, dove la spinta principale venne dall’insediamento di colonie di veneti.

Una volta estintasi la dominazione della Serenissima, l’udinese ha vissuto un periodo di espansione nell’ottocento, grazie alla sua maggiore affinità con l’italiano, che ha fatto sì che prendesse piede anche a livello popolare. Tuttavia questa “ondata” non ebbe modo di perdurare nel tempo tanto che oggi non sono molti coloro che si ricordano dell’esistenza di questo dialetto che viene parlato ormai soltanto da pochi (anziani) abitanti di Udine.

Le testimonianze scritte poi sono davvero ridotte al minimo. Tra le poche rimasteci è d’obbligo citare lo scrittore e giornalista Renzo Valente che scrisse una serie di articoli dal sapore autobiografico dove rappresentò (con una sottile vena d’umorismo) il modo di parlare, se non di vivere di una certa modesta borghesia udinese.

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