In punta di piedi mi accingo all’ardua recensione del Silmarillion, opera che non può essere catalogata in alcuno dei classici generi letterari. Non si può parlare di romanzo né di racconto… è semplicemente il Silmarillion!
Una creazione al di fuori del comune e, per quel che so, non ancora eguagliata da nessuno; frutto della fantasia e della passione di un insigne professore di Oxford deciso a consacrare la propria attività letteraria alla formazione di quel meraviglioso mondo fantasy, poi servitogli come retroscena per la famosa saga del Signore degli Anelli.
Sfogliando le pagine del libro, si rimane a bocca aperta nel constatare la complessità e l’abbondanza di eventi, nomi, casate, razze che niente avrebbero da invidiare al più complicato evento storico. E’ sconcertante pensare che tutto ciò sia stato ideato dalla mente del solo Tolkien.
Sebbene meno noto del Signore degli Anelli e de Lo Hobbit, il Silmarillion è stato forse il lavoro a cui Tolkien tenne maggiormente: cominciato nel lontano 1917 (con il titolo di The Book of Lost Tales) – durante una sua convalescenza in ospedale per delle ferite riportate in guerra -, la sua composizione lo accompagnò nel corso di tutta la sua esistenza; non smise mai di rivederlo, di correggerlo, di ampliarlo. Nonostante i numerosi tentativi compiuti, al momento della sua morte non era stato ancora pubblicato. Solo grazie al paziente lavoro del figlio Christopher, il quale dovette riorganizzare gli innumerevoli appunti del padre spesso non molto ordinati, il libro poté essere dato alle stampe nel 1977 con il nome definitivo de Il Silmarillion, quattro anni dopo la morte del professore, avvenuta nel 1973.
La decisione di intraprendere una così ardua impresa è da ricercarsi nella previa creazione del linguaggio elfico (che consta di due varianti: il Sindarin – o Grigio Elfico – e il Quenya – Alto Elfico): “un vizio segreto”, come egli stesso lo chiamava, “un’occupazione così pazza” che lo spinse a dar vita ad un mondo e, soprattutto, a dei personaggi da cui potesse essere utilizzato.
Nel libro, Tolkien andò concretizzando quella che lui stesso chiamava Sub-Creazione: la formazione di un mondo immaginario – ma non irreale – all’interno del quale il lettore potesse immergersi in una specie di evasione dalla realtà, possibile proprio per la coerenza presente al suo interno:
E’ essenziale per una fiaba genuina […] che essa venga presentata come vera. […] Poiché la fiaba tratta di meraviglie, non può tollerare alcuna cornice e alcun congegno narrativo in cui si suggerisca che tutta la storia in cui questi prodigi accadono sia una finzione o un’illusione.
E’ impossibile riassumere in breve, e allo stesso tempo esaurientemente, la trama del Silmarillion, in quanto la narrazione ha inizio dalla creazione del mondo (chiamato Arda), fino ad arrivare alla fine della Terza Era della Terra di Mezzo, ovvero quando Frodo e gli altri portatori degli anelli – Galadriel, Gandalf ed Elrond – salpano dai Porti Grigi alla volta di Valinor (la Terra Beata).
Nel primo capitolo è esposta la Musica degli Anuir (le divinità maggiori del mondo tolkieniano, superiore alle quali è solo Iluvatar, o Eru, il dio supremo), dalla quale melodia (stonata per superbia da Melkor, il più bello e potente degli Anuir, che poi si pervertirà) nasce il mondo di Arda (nome con il quale viene inteso tutto il mondo, comprese le terre beate di Valinor). Vengono successivamente descritte le varie fasi della formazione del mondo, per poi passare alla apparizione nella Terra di mezzo delle tre razze: Elfi (Eldar), Nani e Uomini.
Il tutto è scritto in un linguaggio aulico e solenne, che si adegua di passo in passo alla materia trattata: dal tono epico impiegato per delineare la Creazione a un altro di poco inferiore, ma certamente più scorrevole, per il momento in cui varie razze diventano il principale oggetto di descrizione, accostandosi gradualmente allo stile usato nel Signore degli Anelli.
La tessitura del racconto si intreccia terribilmente – rendendo difficile la comprensione degli avvenimenti – coinvolgendo svariati personaggi delle tre razze, a loro volta suddivise in numerose casate a cui, ovviamente, sono accompagnate sfilze di nomi, soprannomi, che possono variare a seconda delle lingue dei vari popoli (oltre all’elfico, infatti, dà vita anche a una lingua nanica). Ma per queste difficoltà, giunge in aiuto al lettore il numeroso elenco di nomi, curato dal figlio Christopher, posto in appendice al libro.
Il nome Silmarillion deriva dai Silmarill, tre pietre preziose di inestimabile valore, in quanto portatori della luce di Tarpelion e Laurelin, i due alberi sacri di Valinor, dai cui frutti sarebbero poi nati il sole e la luna. I gioielli erano stati forgiati da Feanor, uno degli elfi più potenti; fu proprio la continua rivendicazione di questi da parte dei “figli di Feanor” a causare prima il volontario esilio degli Elfi dalla terre beate di Valinor e, successivamente per tutto il resto del racconto, lo scoppio di guerre fratricide tra i popoli liberi della Terra di Mezzo. Tuttavia sembra che il ruolo dei Silmarill fosse solo quello di essere causa scatenante di parte dei mali per gli abitanti della Terra di Mezzo. Alla fine del racconto, infatti, i tre Silmarill spariranno: uno in mare, uno in una voragine infuocata, mentre l’ultimo diverrà una stella.
L’ultima fase è dedicata all’approfondimento del periodo precedente alla Terza Era, quella in cui si svolgono gli eventi della Guerra dell’Anello. Si narra di come Sauron, succeduto a Melkor (di cui era il più fedele e potente servitore, e di cui prenderà il posto solo dopo la cattura), convinse gli Elfi a forgiare gli anelli del potere, ingannandoli successivamente con la creazione dell’Unico Anello, poi sottrattogli da Isildur durante la battaglia nella Piana di Dagorlard.
Quest’ultima parte, illuminante per comprendere al meglio Il Signore degli Anelli, comincia a porre in secondo piano il popolo degli elfi e in parte anche quello degli uomini, protagonisti indiscussi fino a questo punto del racconto; dalle ultime righe cominciano a fare capolino gli Hobbit, quelle piccole creature così care al professore, che inaspettatamente per gli orgogliosi e i potenti, saranno i protagonisti della definitiva distruzione di Sauron.
Le profetiche parole di Gandalf servono a spianarne la strada:
molte le circostanze strane del mondo; e sovente, quando i Sapienti si mostrano irresoluti, l’aiuto può venire dalle mani dei deboli.
Comprendo come ciò che è stato scritto possa più confondere che altro ma, ripeto, sarebbe stato impossibile riassumere compiutamente tutta la trama (ci sono molti temi profondi e meravigliosi che non ho trattato per non risultare più noioso di quanto non lo sia già stato). Avrò ottenuto il mio obiettivo se avrò instillato, in coloro che non l’hanno ancora fatto, la voglia di accostarsi a questo meraviglioso libro, la cui conoscenza è imprescindibile per chiunque si dichiari un esperto tolkieniano.
Forse si potrà pensare che una lettura del genere sia abbastanza frivola, lontana dalla realtà, e che a niente possa servire. Chiudo, rispondendo a questa lecita critica, con le parole dello stesso Tolkien in una lettera indirizzata all’amico Milton Waldman, posta come prefazione dell’edizione italiana del Silmarillion ne,la quale riassume (non brevemente) le linee generali della trama, approfondendone alcuni temi:
Dopo tutto, ritengo che le leggende e i miti siano ampiamente fatti di “verità” e che di fatto essi presentino aspetti della verità che possono essere ricevuti solamente in questo modo.
Articolo originariamente apparso su Cogito et volo, scritto da Francesco Iurato.
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