Non ci sono molte parole per descrivere l’indole di Dario Vergassola, attore comico teatrale, conduttore televisivo e cantautore, se non geniale: personaggio ricco di coinvolgente inventiva, seducente carisma e sollecita facondia, è uno degli autori più apprezzati dal pubblico al nostro tempo.

La ballata delle acciughe, l’ultimo romanzo del comico spezzino, è un’opera geometrica, circolare, perfettamente intagliata all’interno di una cornice letteraria alla periferia dell’universo, ambientata nel bar Pavone di quella provincia natia a lui molto cara.

Il bar Pavone esisteva, si trovava in una periferia molto sgangherata di La Spezia, che era già di per se una città molto triste, e la periferia era ancora più triste: li ci abitavamo noi. Io dico sempre che La Spezia adesso si sta quasi illuminando a livello turistico, ma parecchi anni fa l’unica cosa che faceva luce di notte era il bancomat. Una sera avevo visto due turisti in centro, mi fermai perché volevo fotografarli; mi chiesero dove fosse il centro: E’ lì – dissi io. Un altro giorno trovai altri turisti, fermi davanti ad un negozio di Zara: c’era con loro una guida con una bandierina che li portava in giro; alla terza volta che vidi la signorina portare questi turisti di fronte a Zara, pensai che di solito le guide raccontano le cose che c’erano prima, le cose vecchie: gli starà spiegando che qui una volta c’era l’upim – dissi io.

Questa, una delle tante rivelazioni umoristiche dell’incontro con Vergassola, riflette fedelmente lo spirito del romanzo: al bar Pavone i frequentatori costruiscono un piccolo universo dove si palesano pregi e difetti dell’umanità, dove i personaggi salgono su una giostra che rimescola e dipana manie e timori, gioie e difficoltà esistenziali. Il filo conduttore del libro è l’umorismo: l’approccio umoristico alla vita è la condicio sine qua non per affrontare orizzonti concettualmente più impegnati, gravidi di poesia, malinconia e drammaticità al tempo stesso.

La narrazione iperlocalistica, demarcata nella sua territorialità, diventa il presupposto sufficiente e necessario per aprire una finestra sull’Uomo e intuire che, nascosti dietro l’ironia e la surrealtà della narrazione, vi sono sentimenti universali che saremmo in grado di riconoscere in tutti i sobborghi dell’universo.

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