Elio, giovane diciassettenne, appassionato lettore e abile pianista, ama la musica con tutto se stesso, dedicando buona parte delle sue giornate alla trascrizione di brani appartenenti al repertorio classico, che ascolta con voracità e grande interesse, e che cerca continuamente di innovare e reinventare. Nato in una famiglia appartenente all’alta borghesia, è cresciuto in un clima di grande libertà, in cui viene dato maggior peso ai contenuti delle conversazioni che non alla loro forma; in cui la cultura e l’apprendimento ricoprono un ruolo fondamentale, grazie anche al lavoro del padre – professore universitario di fama internazionale –, che, insieme alla moglie, indirizza senza sosta il figlio verso la scoperta della sua identità, incoraggiandolo a non demordere ma, anzi, a non esitare a esprimersi, a cercare di comprendere cosa davvero lo possa completare e rendere felice. L’antica casa di famiglia, sulla riviera ligure, è votata all’accoglienza, sempre pronta a ospitare chiunque giunga per richiedere il consiglio del professore, per cercare un confronto reale e sincero, senza paura di incappare in pregiudizi e di essere giudicato, o anche solo per partecipare alle “fatiche della tavola” – così definite da Elio – e assaporare i gustosi manicaretti di Mafalda, anziana domestica e cuoca. Casa che, ogni anno, nel periodo estivo, si prepara a ricevere la visita di un giovane letterato che, per sei settimane, viene ospitato nella villa affinché abbia la possibilità di continuare il proprio lavoro, oltre che per aiutare il padrone di casa nelle sue ricerche, diventando spesso parte integrante della famiglia.

Elio, ormai, è abituato a una routine che lo costringe immancabilmente a cedere la sua stanza a uno sconosciuto, a rinunciare ai propri spazi per condividerli con qualcuno che non ha mai visto e che, anzi, spesso percepisce come un intruso, giunto solamente a invadere la sua quotidianità, e da cui stare lontano il più possibile, cercando di ricreare, ogni anno, il proprio angolo di tranquillità in cui lavorare e da cui attingere serenità e pace, in attesa che le sei settimane finiscano e di poter tornare, quindi, ad essere nuovamente padrone assoluto del proprio mondo.

Ciò a cui Elio non è preparato, tuttavia, è l’arrivo del ventiquattrenne Oliver. Americano, insegnante alla Columbia University di New York, incredibilmente alto e bello, suscita nel giovane figlio del professore sensazioni intense, profonde, animato da un desiderio insaziabile di conoscerlo in ogni suo aspetto più profondo, in ogni sfumatura, in ogni sogno e aspettativa. Si sente come stretto in una morsa, quasi in trappola: non riesce a non pensarlo continuamente, aspetta di vederlo comparire con ansia, cerca di non lasciar trapelare ciò che prova nascondendo i propri sentimenti – che non comprende fino in fondo – dietro un apparente interesse verso la coetanea Marzia, tentando, allo stesso tempo, di spingere Oliver tra le braccia di un’altra giovane del luogo, tenendo tuttavia costantemente d’occhio ogni suo movimento, sorvegliando e cercando di comprendere il significato di qualunque parola, di qualsiasi azione. Ne è così preso da esserne quasi ossessionato, soprattutto per la paura di non essere accettato, di essere respinto e di soffrire, venendo deriso e allontanato.

Fino a quando il coraggio prende il sopravvento e, compreso di trovarsi ormai a un punto di non ritorno, sceglie di rivelare a Oliver i suoi sentimenti; sentimenti che, con grande sorpresa di Elio, sono ricambiati.

Non sono necessarie grandi parole o gesti; ogni significato è sottinteso, perfettamente chiaro, non richiede di essere discusso e analizzato. Esso è evidente nella sua forza, è vivo nella sua purezza, è disarmante nella sua estrema dolcezza e bellezza. E dopo un primo bacio, affamato quanto inatteso, il rapporto tra i due è inevitabilmente destinato a cambiare. Se infatti, subito dopo essere usciti allo scoperto, Oliver si ritrae nel suo guscio per timore di qualcosa che comprende essere più grande di lui e verso cui prova un misto di paura e profondo desiderio – con grande costernazione e delusione di Elio –, ciò che c’è stato, tuttavia, non può essere messo da parte e ignorato come se non fosse mai successo. Elio e Oliver non possono evitare di assecondare il loro trasporto, di unirsi per diventare qualcosa di più profondo, di incomprensibile a chiunque li osservi dall’esterno; rapporto che può essere riassunto solamente nella frase che l’americano rivolge al compagno italiano: “Chiamami col tuo nome e io ti chiamerò col tuo”. Non sono più Elio e Oliver, oramai; essi si sono spogliati delle loro identità per accettare quella dell’altro, consapevoli che è questo l’unico, vero modo per amare semplicemente, senza condizioni, senza paure. Comprendono di essere l’altro molto più di quanto non siano se stessi, ed è solo accettando completamente tale situazione che riescono a liberarsi delle ultime remore per potersi conoscere davvero, a fondo, senza la paura di scoprire qualcosa di inatteso e spiacevole. La loro è un’identificazione volontaria, assoluta, anche se inevitabile: si sono scelti fin dal primo momento, quando Elio ha accolto Oliver, venendo presto liquidato da uno dei suoi tipici e pragmatici “Dopo!”; non hanno avuto bisogno di approfondire la loro conoscenza per trovarsi negli occhi dell’altro, in ogni suo gesto, in ogni suo desiderio, in ogni centimetro di pelle di cui cercano continuamente il contatto, quasi come se il rimanere divisi fosse per loro mortale.

E anche quando la loro separazione appare ormai imminente, si aggrappano disperati al poco tempo che rimane, cercando di sfruttarne ogni minuto e di allontanarne la fine; una fine dolorosa e percepita come definitiva, dal momento che l’unico modo che hanno per sopravvivere è quello di dimenticare il tempo passato assieme, di tentare di soffocare quello che provano per andare avanti con le loro vite, consapevoli che ogni minimo accenno a quanto vissuto riporterebbe a galla una profonda sofferenza, unita a una gioia quasi infantile nello scoprire l’immutabilità dei loro sentimenti.

Perché Elio e Oliver non riescono a non sperare di poter tornare, un giorno, a chiamarsi con il nome dell’altro.

Se ti ricordi tutto, volevo dirgli, e se sei davvero come me, allora domani prima di partire o quando sei pronto per chiudere la portiera del taxi e hai già salutato gli altri e non c’è più nulla da dire in questa vita, allora, una volta soltanto, girati verso di me, anche per scherzo, o perché ci hai ripensato, e, come avevi già fatto allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nome.

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