A distanza di 200 anni dal Congresso di Vienna (1814-1815) il musicista Piero Rattalino ha dedicato un volume alla grandezza della figura di Ludwig van Beethoven: si tratta di “Celeste e infernale” (Laterza 2015).
Rattalino, che ama definirsi “divulgatore, autore di romanzi storici legati al mondo della musica”, racconta del suo desiderio di trasmettere al pubblico le importanti novità che emersero nel campo della musica durante il Congresso di Vienna. Una su tutte: la nascita della popolarità di Beethoven. Il compositore di Bonn aveva creato in occasione del Congresso tre pezzi da eseguirsi in una matinée presso la Festsaal dell’Università di Vienna: una sinfonia (la n. 7), una cantata, una battaglia. La battaglia era senz’altro il pezzo più atteso. Composto dopo che il duca di Wellington aveva battuto nel Nord della Spagna l’esercito francese al comando di Giuseppe Bonaparte, il titolo di questo pezzo è “La vittoria di Wellington”. Per Beethoven si tratta dell’inizio del successo: il pubblico, ammirato da queste sue composizioni, ne diffuse il nome in Europa.
“Fino a Beethoven la musica parla, con e dopo di lui la musica dipinge. Ciò significa che diventa comprensibile a tutti”, spiega Rattalino. Per capire fino in fondo di cosa stiamo parlando viene proposto, al Ridotto del Teatro Verdi, l’ascolto de “La vittoria di Wellington”. Il pubblico, attento, ascolta assorto, rapito dai suoni che dipingono le scene della battaglia: al silenzio segue lo scalpiccio nervoso degli zoccoli dei cavalli; poi le scariche di fucileria. Da una parte i francesi, dall’altra gli avversari inglesi. Poi ancora la cavalleria, rulli di tamburi e il brano si conclude con gli sconfitti: una lamentosa citazione conclusiva del Malbrough s’en va-t-en guerre ci dice chiaramente che a perdere sono stati i francesi. 14 minuti in cui quanto Rattalino aveva spiegato a voce si è reso palese.
Il pezzo, inizialmente pensato per essere eseguito con il Panharmonicon (enorme strumento meccanico costruito da Maelzel, l’inventore del metronomo) fu poi trascritto da Beethoven per due orchestre. Dalle fonti dell’epoca sappiamo che all’esecuzione viennese parteciparono tutti i musicisti più importanti di Vienna. Salieri, ad esempio, era a capo delle scariche di fucile, cioè delle grancasse. Possiamo addirittura parlare di teatro strumentale, all’esecuzione del pezzo si accompagna una disposizione scenica stando alla quale gli inglesi dovevano spostarsi a occupare lo spazio dei francesi. Il trionfo di questo e degli altri pezzi presentati al concerto fu enorme: Beethoven sapeva entusiasmare il pubblico. Precursore dei tempi, per lui il concerto era recitazione, personificazione della musica.
Un incontro senza dubbio di successo e di grande interesse anche grazie all’intrecciarsi di parole e note: riuscito “appuntamento musicale in un festival di letteratura”, come l’ha definito il presentatore Maurizio Baglini.
Nata a Pordenone, classe 1990. Si autodefinisce “classica”. Studia pianoforte, pratica la danza classica e si laurea in lettere antiche presso l’Università degli Studi di Padova e la Scuola Galileiana di Studi Superiori. Vive in una delle capitali della classicità: Vienna, dove – presso l’Istituto di Studi Bizantini e Neoellenici – svolge il suo dottorato e collabora a diversi progetti di ricerca. Ama i manoscritti, il greco, la matematica, i viaggi, la fotografia.