Immaginate di stare pedalando sulla vostra bici da corsa lungo una discesa, e in fondo alla discesa ci sia un incrocio. Là in fondo, lentamente, passa un ciclista su una bici piena di borse, che pedala chissà verso dove, e che di sicuro dormirà fuori casa per un bel po’ di giorni.
Ecco, questo è quello che ho visto io qualche anno fa mentre mi allenavo, e in quel momento ho provato pura invidia verso quel viaggiatore.

È passato qualche anno, e nel frattempo ho coltivato quell’invidia imitando il viaggiatore: ho montato un portapacchi sulla bici e via, un viaggio in bicicletta a Firenze, uno a Genova, e adesso ne sto preparando uno bello lungo. Da Spilimbergo, paesino in mezzo ai campi vicino a Pordenone, fino alla punta più a sud della penisola. Capo Spartivento, in Calabria. La fine d’Italia, in pratica. Saranno circa 1300 chilometri: per un pischello di 21 anni come me sembrano infiniti.  Guardo la cartina dell’Italia di fronte al letto in camera mia, immagino il percorso, e penso che non è possibile. È troppo, troppo lungo. Come minchia ci arrivo in bici fino a laggiù?
Però, mentre guardo quella cartina, sicuro di non riuscire a farcela, continuo a prepararmi. Esco in bici ogni giorno, faccio qualche giro di telefonate ai vari conoscenti in giro per l’Italia per vedere chi mi può ospitare per una notte, cerco di trovare un allestimento giusto per la bici. Tenda sul portapacchi o legata al manubrio? Quanti portaborraccia? E il contachilometri dove lo monto?
Mancano due settimane, ormai l’itinerario è tracciato e la bici è finalmente pronta nel suo allestimento finale.

L’itinerario prevede di puntare dritto verso Padova e Bologna, da lì scavalcare l’appennino e planare su Pistoia. Si prosegue verso il mare, passando per Montecatini Terme e arrivando a Cecina, sul Tirreno. E giù, lungo la costa, passando per Castiglione della Pescaia, Grosseto, e poi costeggiare l’Argentario e arrivare in Lazio. Da lì, poco dopo Civitavecchia, lascerò la costa per entrare in bicicletta a Roma. Sosta di due giorni e poi ripartenza verso Napoli, un saluto al Vesuvio e poi giù verso Salerno e le colline del Cilento; poi una spruzzatina di Basilicata, attraversando il comune di Maratea, e infine Calabria. Tutta quanta. È bella lunga la Calabria, eh: almeno 400 chilometri, e pochissima pianura. Fino a raggiungere Reggio Calabria, pedalare lungo quel chilometro che secondo D’Annunzio è il più bello del nostro Paese e poi, dopo una cinquantina di chilometri, arrivare al punto più a sud dell’Italia continentale.

1300 km, sperando di non perdermi. Solo che io ho un orientamento di merda.

Arriva il giorno della partenza: 16 luglio, nemmeno una nuvola in cielo, alle soglie del periodo più caldo dell’anno. Ovviamente ho passato la notte senza chiudere occhio, e quando suona la sveglia schizzo fuori dal letto come un fulmine. Tiro fuori la bici, attacco le borse, saluto la mia povera mamma che è terrorizzata (poco da fare: una mamma non vuole MAI che voi partiate per un viaggio in bici o in moto), aggancio il piede al pedale.
È da mesi che aspetto questo giorno, sono euforico e mi sto cagando addosso allo stesso tempo. Santo cielo, fino in Calabria è lunga. Ce la farò? E se mi viene male al ginocchio? E se mi rubano la bici? E parti, dannazione.

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Affondo il pedale e la bici inizia a ondeggiare lentamente. Pare di guidare una nave, da quanto è carica di borse, e piano piano questa nave mi porta fuori da Spilimbergo. Sono davvero partito!
La prima parte di viaggio è tutto sommato noiosa: la campagna tra Pordenone e Treviso l’ho già vista e non ha grandi attrattive, salvo il parecchio traffico.  Faccio tappa a Oderzo, vedo degli anziani seduti al bar:
«Scusate, quanto manca per Treviso?»
«Saran trenta chilometri! Da dove sei partito?»
«Spilimbergo!»
«Spilimbergo? E sei ancora qua? Mi alla to età a sta ora ero a Rovigo! Pedala su!»

Ringrazio per la gentilezza e riparto. Proseguo oltrepassando il Piave e i monumenti in ricordo della guerra, raggiungo e oltrepasso velocemente Treviso e inizio a percorrere la strada chiamata Noalese. C’è un caldo terrificante, saranno 35 gradi, e l’umidità lo rende ancora peggiore: ma è il primo giorno di viaggio, sono bello pimpante e ho troppa voglia di viaggiare per farci caso.
Verso le cinque raggiungo la periferia di Padova e, manco a dirlo, mi perdo: come dicevo sopra, il mio orientamento è pessimo e un sacco di volte devo fermarmi per chieder informazioni. A salvarmi oggi c’è Evgenij, un ciclista ucraino incontrato al semaforo, che mi accompagna dritto fino in Prato della Valle.

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Qui si conclude la prima tappa: per oggi 145 km, filati lisci come l’olio. Il viaggio non poteva iniziare meglio, sono pronto per la prossima tappa.

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