«Una dea geometrica la cui stelle formano la parola autarchia»: così il poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti definì Torre di Zuino ne “Il poema di Torre Viscosa, parole in libertà futuriste” del 1938.

Il poema fu commissionato dall’imprenditore veneto Franco Marinotti per celebrare l’impresa industriale autarchica che la SNIA stava conducendo nella bassa friulana. I versi del poeta sembrano aver ispirato anche il successivo nome dato alla città: Torviscosa.

Ancora oggi, ai lati della strada statale 14 presso la località, si possono vedere gli insediamenti con le architetture tipiche del regime fascista, il complesso industriale, i villaggi operai e le distese di pioppi e campi. Dunque, Torviscosa presenta ancora quello che fu il suo particolare progetto urbanistico di duplice natura: industriale ed agricolo.
Uno scenario che è testimone di un passato recente, i cui resti sono emblemi di quella che fu una vera e propria company town: Torviscosa infatti nacque in seguito alle grandi bonifiche e si sviluppò attorno all’azienda privata di Marinotti, grazie alla quale divenne città dell’autarchia in piena sintonia con la politica economica adottata da Mussolini negli anni Trenta.

Nel 1949, la SNIA viscosa commissionò a Michelangelo Antonioni un documentario che spiegasse la raccolta della canna domestica e il ciclo di produzione della fibra sintetica del raion: il regista ferrarese raccontò il tutto in “Sette canne, un vestito” realizzando una vera e propria fiaba moderna.
L’isolamento nella campagna fu il principale requisito per l’operazione della SNIA e le
 immagini di Antonioni – che hanno come protagoniste delle campagne monocordi popolate da trebbiatrici, macchine e ciminiere – descrivono molto bene il contesto del basso Friuli in cui nacque Torviscosa.

Prima delle bonifiche, Torre di Zuino era una plaga malarica, così dal 1927 iniziarono i lavori.
A partire dal 1930, Marinotti si mise alla ricerca di un territorio adatto all’insediamento del suo stabilimento per la produzione di cellulosa estratta da materie prime nazionali e lo individuò nella bassa friulana appena bonificata.
L’imprenditore fu così il protagonista della riorganizzazione industriale dalla SNIA.

Inoltre, il suo progetto si integrava appieno nella politica economica autarchica del regime fascista, la quale vedeva la nazione come protagonista nel raggiungimento dell’autosufficienza economica.
Questo tipo di politica accelerò il mutamento strutturale dell’economia italiana in senso monopolistico e favorì infatti una più stretta connessione tra politica finanziaria e scelte produttive.
Ma erano anche gli anni dell’economia di guerra scelta come soluzione alla lunga crisi ed entrambe le scelte finirono per avere delle ripercussioni sociali con costi molto alti. Questi furono i presupposti che maturarono quelle contraddizioni di classe che resero possibile l’antifascismo.

Torviscosa quindi ebbe anche un’altra duplice natura: si divideva tra pubblico e privato.
Le città dell’autarchia furono di sicuro gli emblemi dei programmi del fascismo, ma rappresentarono di fatto anche il capitale privato con i propri privilegi.

Nel 1937 cominciò così la costruzione dello stabilimento industriale e successivamente, nel 1937-38, in soli 320 giorni, nacque Torviscosa. Per questi tipi centri, l’architettura ha coniato il termine “città di fondazione” e gli elementi peculiari che di fatto si trovano anche a Torviscosa sono le architetture di regime, gli elementi razionalisti e le piazze che si ispirano alla pittura metafisica di Giorgio De Chirico.
Nascendo però come città-fabbrica di un’azienda privata, si possono delineare tre tipi di percorso: quello industriale, urbanistico ed agricolo.

Marinotti affidò la progettazione al suo architetto di fiducia: Giuseppe De Min.
La parte più vecchia delle strutture industriali risale agli anni 1937 e furono poi ampliate con il cosiddetto “raddoppio” nel 1940. Il nucleo storico della fabbrica fu inaugurato il 21 settembre del 1938 alla presenza di Benito Mussolini e il reparto della cellulosa rimase in funzione fino al 1991.
La maggior parte degli edifici ha le facciate rivestite con mattoni rossi: una scelta che richiama l’architettura ottocentesca di tipo anglosassone. Notevoli le due torri Jensen destinate alla produzione di bisolfito di calcio: alte ben 54 metri, con una pianta circolare e poggianti su un unico basamento rettangolare, ripropongono le forme dei fasci littori.
Un episodio rappresentativo della crisi sociale e di regime, le riguarda: la lama dell’ascia littoria che sporgeva dalla torre nord fu abbattuta dagli operai il 26 luglio del 1943.

Accanto alla fabbrica, Marinotti fece poi costruire una serie di edifici necessari al lavoro e alla vita sociale.
Infatti, il seguente insediamento urbanistico fu improntato su quello industriale, ma il progetto manifesta chiaramente la volontà di organizzare la vita cittadina sia nel lavoro che nel tempo libero, tipica del paternalismo industriale dei villaggi operai.

Venne quindi realizzata la Piazza dell’Impero (oggi Piazza del Popolo) di ispirazione metafisica, su cui si affacciano il palazzo del Comune e la scuola elementare Resi Marinotti di impostazione razionalista, ma con qualche licenza architettonica di regime. Lo spazio dedicato al tempo libero culmina nell’esedra che ospita ancora oggi il teatro e il ristoro antistanti la fabbrica. Non era presente invece la casa del Fascio, elemento che potrebbe far ipotizzare che fosse la fabbrica appunto – e non il regime – a gestire la vita dei cittadini.

La zona sud venne invece riservata alla fascia più povera della popolazione, sistemata in due diversi gruppi di case: le“case gialle” e le colombaie.

Ancora oggi è conservata la caratteristica forma geometrica degli ampi e regolari appezzamenti agricoli, adatti a colture estensive e suddivisi dai canali di raccolta delle acque. Il paesaggio odierno è il risultato delle bonifiche degli anni Trenta, ma fu anche organizzato in funzione dell’azienda: fuori dal paese vennero realizzate sei agenzie, cioè aziende agricole composte anche da una serie di edifici per la residenza dei braccianti impiegati nella coltivazione delle canne.

Si può dire quindi che il progetto originario fu di tipo “gerarchizzato” perchè diviso per settori: la parte dedicata agli operai, quella dedicata agli impiegati e una ai dirigenti.

Oggi, oltre all’archeologia industriale e alla struttura urbanistica, Torviscosa possiede un eccezionale patrimonio documentario custodito nel CID che rappresenta una piccola perla funzionale all’inquadramento storico e che permette di comprendere di sicuro tre particolari percorsi: quello economico, quello territoriale ed urbanistico dal Ventennio fino ad oggi.

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