“I have a dream” recita Martin Luther King nel 1963, quando sognava che diventasse evidente per tutti una realtà che egli già riteneva scontata, ossia che “tutti gli uomini sono stati creati uguali”.

Ma negli anni ’60, quando negli Stati Uniti il problema dell’integrazione razziale è avvertito come fondamentale, urgente, e occupa quotidianamente le prime pagine dei giornali, fare materialmente qualcosa per cambiare la situazione risulta essere estremamente complesso, se non addirittura rischioso, pericoloso, in certi casi mortale.

E la situazione subisce un netto peggioramento nel momento in cui si parla degli stati del Sud, primo fra tutti il Mississippi, vera ultima roccaforte di quell’antico mondo fondato sullo schiavismo le cui briciole vengono accuratamente descritte da Kathryn Stockett in The Help, suo romanzo d’esordio.

Al centro della scena è posta Jackson, capitale di stato, città la cui contraddizione è visibile in ogni suo angolo: nei bar, che prevedono ingressi separati per uomini bianchi e uomini neri; nei supermercati, ai quali le donne di colore hanno accesso solo se indossano la divisa da domestiche, mentre, in caso contrario, sono costrette a ripiegare su oscure botteghe dove viene venduto cibo rancido, vecchio, stantio; negli autobus, all’interno dei quali la zona riservata ai neri è accuratamente separata da quella dei bianchi, quasi dovessero essere protetti da chissà quali innominabili pericoli; nei bagni, che nelle case sono differenziati a seconda del colore della pelle e in base alla convinzione che i neri fossero portatori di malattie più gravi di quelle dei bianchi.

Ma la contraddizione più significativa e drammatica è rappresentata proprio dagli autori di tali normative, un tempo bambini paffutelli, grati di sorridere alla vita in qualunque sua forma, felici di abbracciare e di farsi abbracciare dalla donna che li ha cresciuti, che ha cercato di instillare in loro fiducia, gentilezza, amore per il prossimo; una donna che, nel caso delle famiglie più abbienti, non corrisponde quasi mai alla propria madre ma alla fidata domestica, che diventava amica, confidente, unica alleata in un mondo che molte volte appariva crudele.

 

Ah, era meraviglioso avere qualcuno con cui condividere dei segreti. […] Ma non era solo il fumare o fregare la mamma: era avere qualcuno che ti guarda dopo che tua madre si è appena preoccupata da morire perché sei spaventosamente alta, con i capelli crespi e strana. Avere qualcuno che ti dice solo con gli occhi: “A me vai benissimo così”.

 

“Tu sei gentile. Tu sei intelligente. Tu sei importante” ripete quotidianamente Aibileen a Mae Mobley, la figlia della sua signora, invitandola ogni giorno a scoprirsi diversa, a darsi un’opportunità, a volersi bene.

“A me vai benissimo così”, ricorda ogni giorno Costantine, fedele domestica di casa Pheelan, alla sua padroncina, Eugenia, conosciuta da tutti con il nomignolo di “Skeeter”.

Skeeter si sente diversa dalle sue coetanee; è perfettamente consapevole che ciò che desidera si scontra con un modo di vivere che non sente più come suo: felicemente laureata, la sua più grande aspirazione risiede nella speranza di diventare scrittrice. Non vuole ammuffire dentro a una casa ben ammobiliata con l’unico scopo di impartire ordini alla cameriera di colore e assicurarsi che il marito, al suo rientro, trovi ogni cosa disposta alla perfezione.

Ella sembra essere l’unica in grado di guardare davvero la realtà che la circonda, di analizzare la situazione in cui vive, di scegliere secondo coscienza e non in base a una mera convinzione comune. È la sola a rendersi conto che il piccolo mondo dorato in cui vive poggia su basi fragili, inconsistenti, fondate sull’asservimento di una parte della popolazione ad opera di quella più potente, che riesce a mantenere la sua supremazia solo attraverso la violenza. Ed è proprio davanti alla comprensione di questo stato di cose – e grazie alla conoscenza di Aibileen e di Minny, donna forte, tenace, animata da un forte senso della giustizia che talvolta la porta a comportarsi in maniera sconsiderata – che Eugenia comprende che è giunto il momento di scuotere le coscienze, di dare voce a coloro a cui è stata negata così a lungo la possibilità di farsi sentire.

Ma in che modo? Attraverso quale mezzo? Come sarebbe stato possibile riuscire a catalizzare davvero l’attenzione delle persone e farle fermare a riflettere?

Ed ecco l’idea geniale: Aibileen e Skeeter, alle quali si aggiungerà in un secondo tempo Minny, decidono di mettere a frutto le loro abilità scrittorie per dare vita a un libro. Ma non un racconto inventato o una storia verosimile. Quelle che vengono trascritte sono le storie reali di donne di colore che scelgono di raccontare la loro quotidianità, il loro lavoro, il loro vissuto senza filtri, senza bugie. Per la prima volta hanno la possibilità di mettersi completamente a nudo, consapevoli che il loro gesto di sicuro non avrà la capacità di dare una svolta significativa allo status quo esistente, ma, di sicuro, ha permesso loro di mettere un piede nella porta, di cominciare a farsi strada nel cammino verso la libertà, verso il riconoscimento dei loro diritti in quanto persone perfettamente capaci di scegliere il proprio destino.

Chiunque legga The Help non può che rimanere sorpreso, affascinato, ammaliato da questi esseri solo in apparenza fragili e sottomessi, ma che dimostrano di avere dalla loro l’arma più importante: quella del coraggio, del rispetto e dell’amore reciproco.