<<Poiché noi vogliamo ancora la sfumatura,

Non il colore, soltanto la sfumatura!

E tutto il resto è letteratura!>>

E’ difficile trovarsi indifferenti di fronte al suo capolavoro, Á Rebours, A Ritroso, o tradotto anche come Controcorrente. Lo scrittore franco-belga Joris-Karl Huysmans, amico di Zola, satanista e monaco, cristiano e massonico nel 1884 scrive un libro apparentemente difficile da comprendere che parla della stanchezza di un uomo che, stufo di collezionare piaceri effimeri e materiali, prova a ridare un senso al proprio io.
Des Esseintes è un aristocratico da un’anima tesa e spossata; è in preda a deliri, incubi e visioni. È un uomo in crisi: egli non sopporta più niente e nessuno. Inizia ad avere dei sintomi di pazzia, causata dalla sua vita precedente piena di eccessi e vizi. È un uomo che non crede più di ritenersi tale, deluso dal suo tempo: quell’ottocento  positivista che pretendeva di dare ogni risposta a ogni domanda del mondo non solo fisico ma anche esistenziale.
In questo libro non assistiamo ad alcuna azione: ci troviamo di fronte a un romanzo dove non succede nulla, non c’è alcun capovolgimento della realtà iniziale: il nostro personaggio sta lì nella sua casa-tomba e pensa, elencando tutte quelle cose che non ha mai capito o sopportato: dalla borghesia arricchita all’ottimismo, arrivando ai colori che definiscono e limitano la percezione del tutto, negando le sfumature che rendono ogni cosa e ogni azione unica e irripetibile, esattamente come le ninfee di Monet.

Sente fortemente questo disagio del progresso che lo costringe a cercare una soluzione per evadere da esso: da una Parigi  frettolosa e frenetica, provando a comprendere la storia della propria vita che lo ha portato fino a quel momento, tentando di accettarla e di trovare un motivo per aggrapparsi e continuare a vivere per non finire soffocati dalla nevrosi e dall’angoscia che lo hanno condotto in quella situazione.
Questo libro è la prima vera opera a essere definita propriamente decadentista: non parla solo della decadenza dell’impero francese di fine ottocento, ma parla soprattutto della decadenza dell’uomo moderno, dell’uomo che ad un certo punto della sua vita sente il bisogno di mettere in discussione il proprio passato, le proprie origini, provando a trovare un modo per accettarlo e da lì, ricominciare daccapo, consapevole delle proprie sfumature dettate dalla propria storia.

Immagine: “Ninfee”, Claude Monet

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