Nel secondo dopoguerra, negli Stati Uniti e in Europa, l’arte era prima di tutto alla ricerca di nuovi linguaggi espressivi. La tragedia del conflitto e la crisi di valori che lo seguì portarono ad un radicale e definitivo azzeramento dei punti di riferimento precedenti e ad un conseguente esaurimento delle possibilità creative: la razionalità della forma era un limite da superare, e il fare arte si concretizzava nel gesto stesso, più che nel prodotto finale. Dall’esigenza di un’arte avalutativa e personale nacque il cosiddetto Informale, movimento sviluppatosi tra gli anni Cinquanta e Sessanta: protagonisti assoluti (di cui avrete sicuramente sentito parlare) furono gli statunitensi Pollock e Kline, ma anche la ricerca estetica italiana giocò un ruolo chiave. Nomi come Lucio Fontana o Alberto Burri possono suonare familiari, e si collocano ai vertici più alti della ricerca artistica novecentesca; pochi sanno, però, che in questo contesto culturale mosse i primi passi anche un artista friulano, Bruno Fadel, che ha fatto della carica del segno uno dei tratti distintivi della sua produzione.

 

A partire da sabato 11 luglio (ore 18.30), la sala esposizioni della Biblioteca Civica di Pordenone ospiterà uno dei suoi ultimi lavori: Scripturae/Structurae è il titolo del percorso, che l’artista usa per raccontare se stesso e le proprie impressioni, in un continuo flusso di immagini. La sua è un’arte vulcanica, che accoglie le scosse più profonde e ne fa opere personali, veri e propri “libri” su parete, frutto di una lunghissima ricerca personale e artistica.

 

La mostra sarà visitabile fino al 28 agosto: dalle 14 alle 19 tutti i lunedì, dalle 9 alle 19 da martedì a sabato.

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