“Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”.

Un’affermazione forte, che per la sua sentenziosità non lascia spazio a interpretazioni diverse.

In molti la attribuiscono al fisico Albert Einstein, che tuttavia non era probabilmente un grande esperto di apicoltura, altri a qualche anonimo della storia, altri ancora al detto popolare.
In ogni caso, chiunque abbia pronunciato per primo questa frase dal sapore profetico, aveva certamente ragione.

La moria di api che negli ultimi anni sta colpendo il nostro ecosistema non è forse una grossa novità, ma è un problema che sembra non trovare soluzione, peggiorando progressivamente. Si stima infatti che negli ultimi cinque anni ci sia stata una diminuzione di alveari, nell’Unione Europea, che ha superato il 50%, mentre in Italia questa cifra si attesta sul 20-30%. Anche negli Stati Uniti si aggira intorno al 30%, e in Giappone scende fino al 25.

Ma in che modo la scomparsa delle api può portare danni al pianeta?

Le api sono un vero e proprio mezzo produttivo per l’agricoltura, fondamentale per l’impollinazione e la riproduzione di molte colture orto-frutticole e sementiere:  basti pensare che 39 specie  vegetali su 57, nell’ambito delle più importanti monocolture, beneficiano di questo servizio,  senza trascurare l’importanza fondamentale nella riproduzione di gran parte delle specie vegetali spontanee più evolute, che garantisce un’elevata biodiversità e il corretto ciclo naturale.
L’80% dell’impollinazione del regno vegetale dipende così da questi piccoli insetti, con importanti conseguenze anche a livello economico. L’incidenza economica del loro lavoro è infatti stimata, nella produzione agricola e nei prodotti di derivazione quali miele, polline e cera d’api, nei soli Stani Uniti, per 15 miliardi di dollari l’anno, tanto che in diverse Università ormai da molto tempo si stanno studiando soluzioni per far fronte a quella che potrebbe diventare una vera e propria tragedia.

La progressiva scomparsa delle api è fondamentalmente dovuta all’inquinamento dell’aria, alle interazioni fra virus e diverse forme di parassitismo, e soprattutto all’utilizzo di insetticidi. Ma la situazione è molto diversificata nel mondo: in Africa, ad esempio, dove tali problematica non hanno ancora raggiunto dimensioni così gravi, le api riescono ancora a lavorare serenamente, forti anche di una conformazione diversa, che le permette di resistere a situazioni climatiche molto più avverse rispetto a quelle a cui siamo abituati.

Per quanto la citazione con cui si apre questo articolo possa sembrare catastrofica, questa trova comunque un fondamento scientifico. Molte delle piante che coltiviamo, tuttavia, in un modo o nell’altro riuscirebbero a sopravvivere anche senza api, ma in diversi casi avrebbero serie difficoltà a fornirci produzioni adeguate alla richiesta sempre più crescente, ad un prezzo conveniente per il consumatore finale. Ci dobbiamo sicuramente preoccupare del contributo delle api alle coltivazioni, da cui traiamo alimenti e guadagni, ma sono tante altre, e molte di più, le piante che rischierebbero l’estinzione, fra cui le specie più affascinanti che colorano anche le nostre terre.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema, lo scorso anno Greenpeace ha realizzato un corto animato chiamato “Robobees”, in cui si immagina, in un futuro che non sembra purtroppo così utopistico, un mondo senza api, sterminate in silenzio dall’operato dell’uomo. Al posto delle api, in questo scenario, le multinazionali del cibo produrranno dei robot, vere e  proprie api artificiali, che continueranno l’opera di impollinazione al posto di questi insetti, dando quindi alle stesse multinazionali il monopolio della produzione degli alimenti e della gestione dell’agricoltura.

Ma cosa possiamo fare, noi, testimoni di questa realtà che sembra non trovare una via di uscita?

Il contributo più importante sarebbe senz’altro il consumo più frequente di miele e cera d’api, che possano permettere, nel nostro piccolo, alle apicolture locali di continuare la loro opera di salvaguardia e protezione di una specie animale così in pericolo. Utilizzare il miele al posto dello zucchero industriale, ad esempio nel caffè, sarebbe un grande passo in avanti.

Le nostre terre, inoltre, ospitano decine di piccole apicolture, molte delle quali ancora legate a una dimensione familiare, che rappresentano un’oasi fortunata per le api, oltre ad offrire un prodotto di qualità eccezionale per noi consumatori. Fra queste ricordiamo l’Apicoltura Avianese, che offre una grande varietà di mieli, dal millefiori dei magredi fino all’acacia e al castagno di Barcis, l’Apicoltura di Giuseppe Colautti a Vivaro e quella di Alfredo Marson a Sacile.

Tali apicoltori, assieme a molti altri, sono riuniti sotto il  Consorzio fra gli Apicoltori della Provincia di Pordenone, che  si propone di diffondere, migliorare e difendere l’apicoltura, di promuovere la conoscenza dell’opera benefica delle api per l’agricoltura, di promuovere la conoscenza ed il consumo dei prodotti dell’apicoltura nella provincia di Pordenone, per garantire alle api, e quindi a noi stessi, un futuro migliore.

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