Allo zoo, gli animali che soffrono maggiormente la prigionia non sono i leoni. Il re dei pigri, infatti, sbadiglia alle centinaia di metri che ha a disposizione per farsi quattro passi, a meno che non sia spinto dai morsi della fame. Chi soffre davvero sono le volpi e i lupi, abituati per natura a un incessante spostamento lungo vaste aree. Chi soffre davvero è il grande pappagallo cinerino o dell’Amazzonia che rallegra le signore con un inchino dentro la stretta gabbia. Inchino? No, è ciò che rimane del movimento che all’inizio tentava per fuggire dalla prigione.

Konrad Lorenz, premio Nobel nel 1973 per la fisiologia e la medicina, parla umilmente e con amore nel suo saggio di fine anni ’40: Er redete mit dem Vieh, den Vögeln und den Fischen (“Parlò col bestiame, gli uccelli e i pesci”) col titolo italiano L’anello di Re Salomone. Di questo re leggendario, menzionato all’inizio del sesto capitolo, si narra utilizzasse un anello magico per capire il linguaggio degli animali, finché un usignolo un giorno gli svelò che una delle sue novecentonovantanove mogli amava un uomo più giovane. Lorenz ammette di non saper parlare a tutte le specie con cui comunicava il sovrano ma gioisce del fatto che a lui non serva un anello, affermando che “Senza ricorrere alla magia le creature viventi ci raccontano le storie più belle, cioè quelle vere.”

Scienziato austriaco morto nell’anno della caduta del Muro di Berlino, Lorenz ha dedicato la sua esistenza a osservare gli animali, soprattutto in casa propria. Da subito si era accorto che la capacità di combinare grossi guai è direttamente proporzionale all’intelligenza di una bestia: una sera, da giovane studente, rincasando tardi e premendo l’interruttore della luce nella sua camera, sentì il ghigno sommesso della scimmia cappuccina che in quel periodo gli faceva da coinquilina. Questa, annoiatasi a morte nella pur spaziosa gabbia, aveva votato l’intera giornata a preparare un delizioso scherzetto all’amico: evasa dalle sbarre aveva trascinato una lampada di bronzo attraverso la stanza senza staccare la spina dalla parete, si era quindi arrampicata fin sull’acquario più alto e l’aveva lanciata dentro. Dopodiché, con un’impresa che aveva del miracoloso, era riuscita ad aprire con una minuscola chiave la libreria, estraendone il II e il IV volume del Trattato di medicina interna dello Strümpell, “riducendoli in briciole e riempiendone con indefesso zelo la vasca”. Non un solo brandello di carta era rimasto attaccato alle rilegature vuote abbandonate sul pavimento.

Questo è un libro di rivelazioni e consigli: le tortore sono più spietate dei lupi, poiché nelle prime non è innato l’istinto di non dilaniare un esemplare della propria specie quando questo assume l’atteggiamento di resa, che per i lupi consiste nel presentare dinanzi alle fauci del vittorioso nientemeno che la propria gola. Inoltre, badate: se un capriolo vi si sta avvicinando in atteggiamento baldanzoso, fareste bene a dargli una bastonata sul muso prima di ritrovarvi un corno conficcato in pancia. I caprioli sono spietati, altro che Bambi.

Tra i consigli utili vi è quale animale comprare: “in generale si è indotti a prendere in casa un animale da quell’antichissima nostalgia che spinge l’uomo civilizzato verso il paradiso perduto della natura allo stato selvaggio”. Detto questo, non comprate cardellini né fringuelli. Sappiate che i cani vi ameranno sì col cuore, ma ce li avrete appresso per almeno 10-15 anni. Un usignolo maschio vi farà tremare i bicchieri sulla tavola. Una testuggine greca vivrà una lunga agonia in un appartamento, quindi risparmiategliela. Preferite invece un piccolo lucherino, un semplice storno o degli adorabili criceti dorati che, al contrario dei porcellini d’India, mordono poco. Se volete cimentarvi con un ecosistema autonomo e perfetto puntate sull’acquario, a meno che non abbiate una scimmia cappuccina in casa.
Lorenz ammonisce i principianti inesperti ma conclude che il suo intento ultimo è quello di reclutare adepti alla buona causa, ovvero risvegliare in quanti più lettori possibile l’ammirazione verso la natura e le sue creature, convincendoli a condividere un po’ del proprio tempo con un animale, il giusto animale, per ricavarne gioia e trarre insegnamenti che non si può cogliere in nessun’altra occasione. Con chi scrive, c’è riuscito.

La parte finale del libro parla in particolare di cani, evidentemente uno degli animali preferiti da Lorenz, a cui dedica interamente qualche anno più tardi il saggio E l’uomo incontrò il cane (1973).
Egli stesso ammette:

“quando non ne posso più di dire cose intelligenti e di comportarmi come si deve, quando alla vista di una macchina da scrivere sono colto da una nausea irresistibile, sintomi questi che di solito compaiono verso la fine dell’anno accademico, io divento un cane tra i cani, o meglio un animale tra gli animali. Allora mi ritiro dal consorzio umano e vado in cerca delle bestie, per il semplice fatto che non conosco forse nessuna persona che sia spiritualmente abbastanza pigra per farmi compagnia quando sono in questo stato d’animo.”

È così che lo scienziato e la sua cagna Susi partono assieme di mattina in queste giornate canicolari per attraversare a nuoto il Danubio e stendersi al sole su una delle sue rive, oziando beatamente per ore infinite immersi in un paesaggio primordiale.

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