“La Storia in un romanzo” è quel premio che ogni anno promuove un autore meritevole di aver saputo fondere letteratura e storiografia in uno di quegli impasti chiamati narrative non-fiction. È grazie a “Soldati di Salamina”, “Anatomia di un istante” e “L’imperatore” che il laureato di quest’anno è stato Javier Cercas. I titoli ripercorrono tre degli avvenimenti più dibattuti della vita pubblica e politica della Spagna della seconda metà del XX secolo, ma ognuno nasce da un diverso quesito. Attraverso quali processi interiori si sceglie di graziare il proprio peggior nemico? Quali le ragioni morali che impongono a un uomo di non piegare la schiena? Come si arriva a diventare il più grande impostore del mondo?

Cosa ha spinto Cercas, un autore consapevole della potenza asciutta della propria prosa, a scegliere di concentrarsi in una letteratura che “agli storici pare saggistica e ai giornalisti cronaca”? Proprio perchè si tratta dei tre avvenimenti angolari nella narrazione collettiva, ha spiegato Cercas, sono anche i più ricchi di menzogne e mezze verità: scrivere una bella finzione sarebbe stato un accumulo eccessivo, letterariamente irrilevante. Inoltre, la strada di libertà narrativa è stata tracciata da Cervantes, un autore essenziale per la modernità: in letteratura tutto è concesso, ogni verità già ambigua. Il Don Chisciotte è uno sconfitto, un personaggio ridicolo – ma un eroe; il suo Sancho Panza un ignorante, un semplice – ma un saggio. Le verità ironiche alla base del romanzo non furono comprese da una nomenklatura culturale usa al fanatismo granitico dell’inquisizione, ma furono ritrovate dopo più di un secolo dagli Inglesi.

Qual è il significato di essere scrittore? Il dovere di un romanziere è ambire all’impossibile e sperare in un dignitoso fallimento, e in questo ha un compito opposto a quello del politico: il primo scompone i problemi, li semplifica e fornisce alla comunità una soluzione semplice; il secondo scompone i problemi, rimugina, li digerisce e ne trova di nuovi dove nessuno aveva potuto scorgerne. I romanzieri ci complicano la vita.

Questo, dunque, il fulcro del pensiero di Cercas: le grandi bugie, ovvero quelle che conservano un germe di autenticità, sono permesse agli scrittori. Il loro ufficio è allora quello di servirsene per produrne storie circoscritte – ma che parlino di verità letterarie, universali.