Oramai, sono solo un altro elemento del paesaggio, non più naturale, bensì creato dall’uomo come riparo durante la Grande Guerra. Sono una specie di fossato profondo quanto basta per proteggere i soldati delle prime fila dell’esercito, una piccola fortezza moderna che nulla ha a che vedere con le belle e imponenti mura medievali. Sono una trincea. A volte, a pochi metri da me, vedo chiaramente del filo spinato, serve per allontanare il nemico, come dicono gli uomini che ospito. Da roccia, sentiero, bosco, sono diventata uno sbarramento per le linee nemiche. Non sono né italiana né austriaca, perché non partecipo attivamente alla guerra, ma ne faccio da spettatrice, sperando che i “miei” soldati non muoiano e che possano tornare nelle loro vere abitazioni.

Non è così: urla e strida, fragori di bombe, corpi lacerati, squarciati, travolti da bombe e granate, viscere umane mi ricoprono e non odo più alcun verso naturale, le voci dei fanti sono straniati lamenti e urla agghiaccianti. I rumori pervadono la radura di cui facevo parte, il bosco non è più lo stesso e le montagne ospitano altre trincee ed altri battaglioni, come se ci fosse una vera e propria invasione della terra, che viene tagliata, smossa, affondata ad uso e consumo degli armamenti. La natura si piega all’uomo, io mi piego all’esercito e mi lascio scavare sempre di più, per proteggere queste bestie che non hanno altro che una insana voglia di sangue e battaglia.

In seguito alla conquista dell’altipiano della Bainsizza, c’è la dodicesima battaglia dell’Isonzo, nota per di più con il nome di “disfatta di Caporetto”. Non fu una disfatta, il termine è improprio. Semplicemente, i soldati italiani si vedono sopraffatti dal nemico, dallo Stato Maggiore arrivano in ritardo le notizie su come e dove sportarsi e  Cadorna, Capello e Badoglio, non hanno idea di come salvare le truppe per queste informazioni tardive. Io li vedo, sono ora lunghissima: dalle cime dell’Adamello arrivo fino al mare, fino a Trieste, toccando qualche fiume, qualche foce. Vedo Cadorna impazzire di rabbia, vedo i soldati scappare: sono gli alpini, “gente dalla pellaccia dura” come si sente dire in queste zone, uomini forti e coraggiosi che hanno a lungo resistito contro il nemico austriaco. Da una parte Italia, dall’altra Austria.

Essendo una trincea, sono una sorta di confine tra due realtà contrapposte ma non dissimili: italiani e austriaci sono entrambi affamati, denutriti, stanchi di combattere. Credo che il loro peso si aggiri su una media di 45 kg e nemmeno agli ufficiali e ai tenenti sono risparmiati dalla fame e dal gelo. C’è freddo, anche io, che sono una sorta di essere inanimato, percepisco il freddo di questi inverni e mentre presso di me si accoccolano soldati italiani tremanti, non posso che non vedere dall’altra parte la mia amica trincea austriaca accogliere uomini identici.

Che cos’hanno questi uomini di diverso, una volta tolte le uniformi?

Gli austriaci avranno anche “vinto” a Caporetto, ma sono stremati: pelle e ossa, raccolgono qualche ossicino e erba da terra per farci una brodaglia che abbia un ricordo di un qualche sapore, cercano radici e briciole di pane. Gli italiani scappano, non hanno nemmeno il tempo per bere una brodaglia simile: la loro pelle raggrinzisce, sotto le uniformi ho visto corpi emaciati e disidratati. Sembrano quasi più poveri degli austriaci. Scappano, scappano furenti come prede e io non posso più proteggerli dal loro destino: verranno fucilati, arrestati, rilasciati, io non posso saperlo. Inerme, guardo l’uno e l’altro esercito, tremanti e annichiliti. Dove è ora Cadorna, il grande e deciso generale? Dove è finito il Leone dell’Isonzo, von Bojna? Lasciano così i loro soldati?

I fanti corrono, si lasciano scappare qualche pezzo di indumento o oggetti, io li custodisco per i posteri. Di notte i loro lamenti diventano sempre più insistenti, non mi lasciano tregua. Pianti, singhiozzi, tremori, chi era mutilato e mi sporcava di sangue, chi era morto e si univa alla mia terra per una sepoltura indegna per un eroe. Ogni fante è un eroe, ogni soldato andrebbe ricordato come merita. Ma qui ci sono solo fango, escrementi, corpi in putrefazione e non mi piace essere una trincea.

All’inizio della guerra era tutto diverso: ero stata scavata per proteggere uomini forti e coraggiosi, con me dormivano veri guerrieri simili ad Eracle. Non c’era puzza, non c’erano parassiti e mancavano folli individui che avevano perso il senno in seguito ai troppi bombardamenti. Era tutto rigoglioso e attorno a me c’era ancora un po’ di natura. Sembrava una grande opera di conquista italiana delle terre irredente.

Ora fuggono via questi eroi caduti e io sono impotente verso il loro terrore. Non si accorgono nemmeno più di me, mi oltrepassano senza prestare attenzione e facendomi del male, distruggendomi. Non sono più la loro amata trincea, casa e culla, ma sono un altro impedimento alla loro rapida fuga. Sono stanca, ho visto troppo sangue e troppe lacrime, la mia unica volontà è quella di tornare roccia e fiume e sorgente.

Pochi anni dopo, la natura mi regalerà un bel manto verde e mi farà fiorire di nuovo le margherite o le Edelweiss. Con loro non ci saranno spari o bombe o ordigni, ma solo profumo e dolci api che faranno capriole sopra il mio mantello. Non vedo l’ora che sia il giorno di domani.

Caporetto è finita, non so nemmeno se questi uomini torneranno. La natura deve fare il suo corso, la guerra prima o poi finirà.

 

(Credits immagine: Blogcamminarenellastoria.wordpress.com)

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