Il dibattito riguardo le potenzialità economiche inespresse della cultura in Italia è per fortuna ben avviato e molto ricco di opinioni, studi e appelli. Qualcuno direbbe che è ormai saturo, ma ricordando come sono stati gli anni precedenti – quelli del “con la cultura non si mangia” –  sembra quantomeno un’affermazione azzardata. Se poi si passa a guardare lo stato dell’arte di questo piccolo tesoro nascosto in casa nostra, ci si accorge che i passi da fare sono ancora molti.

Per tentare di ridurre la distanza che separa gli annunci dall’esecuzione, a Pordenonelegge  il giornalista Lorenzo Salvia presenta “Resort Italia”, un libro che descrive perché e come il nostro Paese deve sfruttare il suo patrimonio artistico e culturale. Insieme a lui c’è Massimo Bray che ora dirige l’enciclopedia Treccani, dopo l’esperienza governativa da Ministro dei Beni Culturali.

Da esperto di temi economici, Salvia comincia motivando l’esigenza di una nuova destinazione d’uso delle risorse nel nostro sistema economico. L’Italia non potrà raggiungere i livelli che aveva in passato nei settori dell’industria manifatturiera, che comunque – precisa lo stesso autore – non è destinata a scomparire.
Il settore del turismo internazionale è in forte crescita e il nostro Paese è in cima alla classifica mondiale delle intenzioni di viaggio. Tuttavia esiste un forte problema infrastrutturale se siamo solo quinti per numero di turisti effettivamente arrivati. Di esempi, anche recenti, ce ne sarebbero da fare tantissimi.
Non è però l’unico ostacolo da rimuovere: va ripensato il modello di turismo mainstream, concentrato nei tre centri di Roma, Firenze e Venezia. Oggi il viaggiatore preferisce vivere un’esperienza, provare delle sensazioni uniche che solo “turismosistemi” ricchi di tradizione artistica, gastronomica e storica – e certamente anche di infrastrutture adeguate – possono offrire.

Un quadro molto chiaro che però si scontra con l’immediata obiezione di chi sostiene che non ci siano le risorse per far partire un modello di questo tipo. Non la pensa così Massimo Bray. Quella che secondo lui è mancata e manca tuttora è la volontà politica. Lo dice espressamente: la nostra classe dirigente non crede nei fatti che la cultura possa diventare sviluppo e crescita economica. Spesso infatti a valorizzare la nostra straordinaria concentrazione di bellezza sono solo alcuni volenterosi, il più delle volte non pagati o pagati molto male. Esistono tanti piccoli esempi virtuosi sia dal basso che da parte degli enti pubblici, anche nazionali. Bray cita il caso di Ercolano, i cui scavi sono stati in parte finanziati da un generoso contributo privato, oltre alle migliaia di associazioni e aggregazioni che in ogni parte d’Italia mantengono in vita il settore cultura.

Nella parte finale dell’incontro, gli stimoli del pubblico portano il dibattito sull’attualità e il caso dell’assemblea sindacale indetta dai dipendenti del Colosseo. L’ex ministro ha voluto ribadire quanto sia fondamentale una coesione del Paese: non servono le parole forti, bisogna prima di tutto dare il giusto riconoscimento a chi lavora.  Da entrambi i relatori è infine giunto l’invito a includere tra i servizi pubblici essenziali anche la tutela del patrimonio culturale, proprio in concomitanza con l’annuncio del decreto legge da parte del Governo.

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