«I libri si fanno da soli. Tu pensi di doverci lavorare ancora per due anni e invece lui dice: “No, io sono finito qui!”»
– Umberto Eco
Sono seduta al primo banco, da qui il sole mi scalda il viso ma senza disturbarmi. In classe è la volta del Medioevo e la mia professoressa delle medie parla di un certo libro, Il nome della rosa. Descrive quella che pare essere un’affascinante e forte storia, scritta con incredibile talento tanto da farci un film.
Poco tempo dopo mi reco in libreria. Mi piace infilare il naso dentro ai libri nuovi, sfogliarne le pagine, sentirne l’odore, leggere qualche frase qua e là, cercare di capire se quel libro sia fatto per me. Un piccolo atto meditativo che ogni lettore si concede.
Scorro i miei occhi sulle copertine colorate e il mio sguardo cade su Il nome della rosa ma vedo che, proprio lì vicino, c’è un altro titolo: Il pendolo di Focault.
Durante i primi anni delle superiori andavo forte in scienze della Terra così mi sono detta: «Perché no?».
Inizio a leggerlo, senza riuscire a seguirne il filo logico, trovandomi estremamente contrariata e sciocca, impreparata a capire questo autore dal linguaggio così complicato.
«Eppure» pensavo «vado forte in scienze della Terra».
All’università i complessi concetti di linguistica affascinano la mia mente: ho scelto l’indirizzo giusto. Stare ore e ore a sviscerare i significati più nascosti di un modo di dire, non solo nella mia lingua, è qualcosa di davvero eccitante. Scoprire che esistono parole intraducibili, concetti talmente fissati all’interno di una diversa cultura da dover creare una spiegazione per riuscire a farli capire, parole e sentimenti di cui neanche concepivi l’esistenza. Imparo che la lingua può essere studiata a livello scientifico, ogni frase può essere scorporata per ricavarne il significato d’origine, e di tutto questo mi innamoro.
Durante gli studi mi imbatto in Dire quasi la stessa cosa, un brillante saggio sulla traduzione. Di Umberto Eco, uno dei più grandi semiologi, filosofi e autori del nostro tempo.
Inizio a leggere e resto affascinata, estasiata, completamente esterrefatta. Le parole scorrono leggere e i concetti, seppur complessi, sono spiegati con una tale maestria da farmi capire che quello è il libro giusto per me. L’autore mi parla come fosse davanti a me, mi spiega con una passione a me familiare quanto quel mestiere per cui sto studiando nasconda moltissime affascinanti insidie.
Proprio lui, lo stesso de Il pendolo di Focault, Il nome della rosa, La struttura assente, il Trattato di semiotica generale, i saggi sul Medioevo, lo stesso che ha tradotto in maniera così brillante gli Exercices de style di Raymond Queneau, tanto amati dalla mia professoressa di francese delle superiori.
Un intellettuale a tutto tondo, sempre pronto a spronarci su quanto sia importante curare la nostra conoscenza e la nostra memoria, nutrendo la nostra anima. Un uomo dal bagaglio culturale immenso, consapevole di quanto sia fondamentale studiare e informarsi sul passato, per imparare a filtrare le informazioni del presente. Una mente straordinaria, così fulgida da chiedersi come possano starci, tutte quelle nozioni, là dentro.
Umberto Eco ci ha sempre incoraggiati a utilizzare il dono dell’intelletto, la potenza delle parole, la risorsa della storia, accompagnandoci e guidandoci sempre, come un vero Maestro.
Mi ricordo l’ultimo periodo prima della laurea: Il Cimitero di Praga stava bene in vista sulla mensola dell’ufficio della mia relatrice, quasi volesse invitarmi per un tè, senza paura perché ormai sapevo di essere pronta a incontrarlo.
Penso sarà il prossimo libro che leggerò e, stanca dal lavoro, deciderò di rilassarmi, senza pensare alle mille traduzioni che, quel giorno, mi hanno soffocato in ufficio.
«Sono sempre stato interessato al problema del “riso”, anzi una volta speravo di potere scrivere il libro sul “comico” che alcuni grandi non ce l’hanno fatta a fare. Poi ho pensato fosse meglio smetterla, così, dopo la mia morte, usciranno un sacco di tesi su come sarebbe stato il mio libro sul “comico”.»
– Umberto Eco
Sono nata a San Daniele nel 1992 e la passione per le lingue mi ha portato a laurearmi alla SSLMIT di Trieste. Prima di trasferirmi a Bruxelles dove attualmente vivo e lavoro, ho ottenuto un doppio Master in affari europei presso le università di Udine e Strasburgo. Sebbene le mie radici siano ben piantate nel cuore del Friuli, sento un forte slancio che mi porta alla ricerca di nuovi mondi, cosa che posso raggiungere anche attraverso la scrittura. Per questo ho scelto di scrivere per L’oppure, perché è fondamentale ricordare e valorizzare casa propria, facendola conoscere a chi ama scoprire, sognare, ricordare.