Quelli che i Romani indicavano genericamente come Galli erano in realtà i Celti, un popolo di origine indoeuropea che, già dal X secolo a.C., abitava le terre tra l’alto Danubio e il Reno. A partire dal VII secolo a.C., essi iniziarono a migrare a ondate verso ovest. Nel V secolo a.C. avevano già occupato vasti territori: la Francia, le isole britanniche e buona parte della Spagna settentrionale, dove si scontrarono con la strenua resistenza degli Iberi. Alla fine del secolo, spinte dall’impulso di conquistare nuove terre, numerose tribù gallo-celtiche – tra cui Insubri, Boi, Senoni e Cenomani – superarono le Alpi e dilagarono nella pianura padana. Qui, nonostante la tenace opposizione dei Liguri, gli Etruschi cedettero rapidamente all’avanzata celtica.
Celebre nelle cronache è rimasto il primo sacco di Roma. Nel 390 a.C., i Galli guidati da Brenno inflissero una dura sconfitta ai romani presso il fiume Allia e conquistarono la Città Eterna, incendiandola. Fino al 410 d.C. nessun altro capo straniero sarebbe mai riuscito a fare altrettanto. Nello stesso periodo, alcuni gruppi celti si spinsero persino fino a Siracusa, in Sicilia, dove vennero arruolati come mercenari.
Verso la fine del V secolo a.C., le tribù dei Carni, Catubrini e Ambisontes scesero dai valichi orientali per occupare il Friuli, il Cadore e la valle dell’Isonzo. Il loro arrivo fu violento e devastante, ma alcuni popoli, come i Veneti e gli Histri, riuscirono a salvarsi dalla distruzione. Con il tempo, i Celti si stabilirono nelle pianure, lasciando un’impronta profonda sul sostrato culturale friulano, visibile ancora oggi in toponimi e tradizioni locali.
La struttura politica celtica evolse nel tempo. Da una monarchia iniziale si passò, al tempo di Cesare, a un sistema oligarchico guidato da una nobiltà sostenuta dai druidi. Questi non erano solo sacerdoti, ma anche educatori e figure d’autorità nelle decisioni politiche e spirituali.
Pur essendo cacciatori e pescatori, i Celti praticavano l’agricoltura e l’allevamento, con una predilezione per cereali come orzo e grano, da cui producevano birra. I centri urbani erano rari e strategicamente posizionati su colline, mentre la maggior parte della popolazione viveva in villaggi rurali con abitazioni circolari, costruite in legno e paglia.
Le loro capacità artigianali erano straordinarie. Lavoravano metalli come ferro, rame, oro e argento, realizzando armi e gioielli di grande qualità. Si attribuisce a loro anche l’invenzione della stagnatura. Scambiavano merci in grandi fiere stagionali, e l’uso della moneta – coniato con cura – dimostra l’intensità dei loro traffici, anche con Roma e la Grecia.
La guerra era parte integrante della cultura celtica. I fanti combattevano senza corazze, armati di spade pesanti e scudi, mentre la nobiltà cavalcava protetta da elmi e cotte di maglia. I Celti erano combattenti instancabili, noti per la loro impetuosità e resistenza, e utilizzavano anche i carri da guerra.
Il loro universo spirituale era complesso. Oltre ai sacrifici animali, praticavano talvolta anche quelli umani. Il pantheon celtico era popolato da numerose divinità, molte delle quali sopravvivono nei toponimi odierni: Esus (Isonzo), Latis (Latisana), e ancora Epona, dea dei cavalli, o Belisama, accostata dai Romani a Minerva.
Anche la loro scrittura era originale: l’alfabeto ogamico, inciso in modo obliquo sulle pietre tombali, è una testimonianza unica della loro cultura insulare.
I Celti seppellivano i loro morti in grandi necropoli e tumuli, spesso accompagnati dalle armi. Alcuni preferivano l’incinerazione. Le tracce della loro presenza sono ancora oggi riconoscibili in molti nomi di località del Friuli e del Veneto orientale: Nimis, Cadore, Carnia, Cormons e molti altri.
Fu per contrastare la loro espansione che Roma, nel 181 a.C., fondò Aquileia: una colonia destinata a diventare il fulcro della romanizzazione del Nordest e il punto di partenza per la diffusione della potenza romana verso l’Europa orientale.

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