Dal 14 novembre 2015 al 28 febbraio 2016, il suggestivo Palazzo dei Diamanti di Ferrara ospita una mostra su Giorgio De Chirico, uno dei più insigni ed eccentrici (nel senso latino di “fuori dal centro”) artisti italiani del periodo delle avanguardie.

Avanguardie che in Italia, nei primi due decenni del secolo scorso, ebbero il loro campione nel movimento futurista, che si dedicò a nobilitare attraverso afflati edonistici, estetizzanti e vagamente egotisti l’esperienza del primo conflitto mondiale. Si trattò dunque di una sorta di razionalizzazione (o irrazionalizzazione) della guerra; razionalizzazione intesa come riduzione a un sistema interpretativo umano, o perlomeno umanamente concepibile: la fredda mitragliatrice che assurge a ballerina vibrante di tepore erotico descritta da Filippo Tommaso Marinetti in Alcova d’acciaio (1921) è il tentativo di rappresentare allegoricamente il conflitto, di ascrivere ad un retaggio concettuale associativo ciò che deve essere (ir)razionalizzato, la guerra, perché attraverso l’associazione con qualcosa di conosciuto ne venga mitigata l’insensatezza.

E in questo suo dover essere estetizzata letterariamente, la guerra è in realtà considerata inconsciamente dai futuristi come un’alterità spaventosa, inumana e ingiustificata, che necessita di essere umanizzata e resa giustificabile artificialmente proprio attraverso l’ars litterarum. Partendo da queste prerogative dunque, l’esperienza futurista italiana non esprime la guerra in quanto tale, ma come prodotto di una percezione associativa umana, come abbiamo visto, e utilizza i medesimi espedienti allegorici delle letterature precedenti.

Per quanto riguarda la pittura futurista, si consideri lo strabordante quadro di Umberto Boccioni intitolato La città che sale: la scarlatta prepotenza con cui il quadro adombra l’osservatore e lo coinvolge è il frutto di una caotica apposizione di varietà cromatiche e di figure, senza che però mai siano rotti i legami con i linguaggi pittorici del passato: il rosso e il cavallo veicolano sì stati emotivi di incandescente e farraginosa voluttà, ma questa non esula mai pienamente dalla sfera dell’interpretabile. In Marinetti come in Boccioni, tutto si muove su qualcosa che è già stato agito, pur distaccandosene, ma senza mai smettere di gravitarvi attorno.

La pittura metafisica di De Chirico può invece essere ritenuta la prima azione pienamente indipendente nel panorama artistico italiano.

Abbiamo visto come la guerra in quanto enigma per i futuristi sia insostenibile; in una frase epigrafica retrostante ad un autoritratto di De Chirico si legge: << Et quid amabo nisi quod aenigma est? >>, ossia << E cosa amerò se non ciò che è enigma? >>.
Enigma, che, a differenza della confusa esplosività della retorica futurista, deve essere lucidamente indagato, in quanto intrinsecamente (e non estrinsecamente, ossia attraverso apparati interpretativi allegorici come nei futuristi) comprensibile nel suo non-senso.

Il non-senso, in un’ottica diametralmente opposta rispetto all’approccio futurista, non deve essere ridotto ad un retaggio interpretativo stabile, ma rappresentato attraverso sistemi di creazione pittorica assodati, usati però in modo diverso rispetto al passato. << Pictor classicus sum >>, si definisce De Chirico. E contro la pittura futurista, che con le sue << baldorie >> aveva dato il colpo di grazia alla pittura italiana << in fatto di materia e di mestiere >>, teorizza nel marzo 1917, proprio a Ferrara, insieme al fratello Andrea e a Carlo Carrà, la pittura metafisica, che in accordo con le note del << Pictor classicus >>, riesuma i sistemi di creazione pittorica di “disegno, forma e volume”.

Se però in Raffaello, Botticelli e Caravaggio, questi erano utilizzati per dare verosimiglianza al reale, in De Chirico l’autentico reale è metà-physiòs, “al di là del reale”. L’allegoria nella letteratura e nella pittura era sempre stata usata come riferimento ad una realtà altra che giustificasse la realtà vera, rimanendo dunque legata a quest’ultima, mentre nei metafisici l’allusione va a << una realtà […] che va oltre ciò che vediamo allorchè gli oggetti, usati fuori del loro contesto solito, sembrano rivelare un nuovo significato che sorprende. >> (Giorgio Cricco, Francesco di Teodoro, Itinerario nell’arte, dall’art nouveau ai giorni nostri).

E dunque il carattere costitutivo della pittura metafisica è l’accostamento di oggetti di natura dissimile tra loro, e la cui dissomiglianza rimanda ad un non-senso che si staglia al di là del reale e del senso. Questi oggetti sono rappresentati con certosina dovizia tecnica (“disegno, forma, volume”), laddove il loro essere verosimili veicola il concetto per cui il non-senso è lucidamente interpretabile; frequentemente rappresentati sono strumenti di calcolo (squadre, compassi, vari oggetti in legno), manichini senza volto, inseriti in un ambiente rarefatto in cui tutto sembra essere in procinto di succedere.
Scrive De Chirico: << L’opera d’arte metafisica è quanto all’aspetto serena; dà però l’impressione che qualcosa debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre a quelli già palesi, debbano subentrare nel quadrato della tela. >>
In questo senso la pittura metafisica abbraccia l’enigma in quanto lucidamente comprensibile: perché lo rappresenta non attraverso segni che si esauriscono in se stessi (vedi futurismo e le correnti pittoriche passate), bensì attraverso segni che implicano segni, in un duplice nascondersi della realtà, che è pascalianamente la realtà stessa.

Ciò che vediamo rappresentato nei quadri metafisici è dunque (anche) la guerra in quanto enigma, in quanto incertezza esistenziale, dinanzi alla quale la volontà interpretativa è soggiogata da un placido torpore di sconforto, che nel suo essere indecifrabilmente manifesto rappresenta alla perfezione l’esperienza della guerra come non-senso eternamente presente a se stesso.
Il repertorio tematico della pittura metafisica è estremamente più variegato, ma analizzando il contesto bellico come nella nostra riflessione si evidenzia più significativamente il rapporto con le avanguardie, e la contestualizzazione storico-culturale è più evidente.

La mostra raccoglie poi anche quadri inerenti ad altri temi, tanto di De Chirico quanto di Carrà e Morandi (anch’essi metafisici), e presenta alcuni percorsi tematici, estremamente interessanti, imperniati sul confronto con altri stili: il tema del quadro nel quadro in De Chirico e Magritte, il tema dell’occhio in De Chirico e nei Neo-Dada; insomma una varietà di esperienze artistiche più che pregevoli che rendono la mostra assolutamente godibile per qualunque categoria di pubblico.

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