Nel 1935, un poeta e drammaturgo tedesco scrisse un componimento dal titolo Fragen eines lesenden Arbeiters, “domande di un operaio che legge”. Domande del tutto naturali, che a qualsiasi lettore casuale di un libro di storia potrebbe capitare di formulare, e che si riassumono nella seguente: nei libri sono citati i nomi di re e imperatori, ma com’è possibile che quelli di tutti gli altri (dal muratore al cuoco) siano andati perduti? Come può essere che la gente comune, pur avendo contribuito allo svolgersi dei fatti storici, venga dimenticata solo perché considerata tale?

Bertolt Brecht, di cui forse molti conosceranno la Vita di Galileo, scrisse: “sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. Chi era Galileo Galilei, se non un uomo? Abbiamo davvero bisogno di una storia straordinaria?

 

E’ questa la prima domanda che, istintivamente, ci si pone dopo la lettura di Ballo di famiglia; tutti  i racconti brevi hanno, a dire la verità, un effetto molto simile (sarà perché le tre, quattrocento pagine del romanzo esigono invece qualcosa di molto più complesso), ma David Leavitt, con la sensibilità forse ancora un po’ acerba della giovinezza (la raccolta, pubblicata all’età di 23 anni, segnò il suo debutto), è riuscito a scavare molto più a fondo di altri. In nove racconti, tutti condensati in meno di trecento pagine, emerge un’umanità del tutto ordinaria, osservata attraverso un occhio così acuto da sorprenderci. Piccoli drammi che si consumano di fronte a spettatori del tutto ignari, a loro volta divisi da una lotta che non vogliamo (e non possiamo) conoscere. Ci viene spesso chiesto di essere “consapevoli”, di noi stessi e delle realtà macroscopiche che ci circondano, ma esiste una consapevolezza estremamente difficile da raggiungere: quella delle vite altrui, su cui indaghiamo solo quando vengono a contatto con la nostra.

 

Nella mia (ahimè) piuttosto scarna esperienza da lettrice di racconti, ho incontrato stili e impostazioni estremamente particolari. Ho apprezzato l’umorismo sardonico di Stefano Benni e l’asciutta compostezza di Alice Munro, ma quello che ho trovato nella prosa di Leavitt è stato ancora diverso: una semplicità a tratti asettica (anche quando è il protagonista a parlare in prima persona è impossibile non notare un distacco al limite dell’alienazione), ma che in qualche modo non ha mai rinunciato alla profondità di sentimenti. Difficile restare impassibili dopo la lettura di Alieni, in cui i contorni del disturbo mentale e del disagio giovanile vengono tracciati con stoicismo impeccabile; impossibile non leggere Devota tutto d’un fiato, o non farsi coinvolgere dalla disperata corsa per la vita che, qualche giorno prima di Natale, colpisce la protagonista di Contando i mesi. Quant’è fragile il filo che tiene uniti una madre e suo figlio in Territorio?

 

Il tema dell’omosessualità, spesso presente nei racconti, ci permette di guardare dall’esterno, e con gli occhi di un ragazzo cresciuto nel periodo di transizione che erano gli anni Ottanta, la rivoluzione privata (in alcuni casi estremamente complessa) che richiede la scoperta dei propri sentimenti.

 

Nessun finale a sorpresa, nessun avvenimento inaspettato che ci costringe a voltare pagina, nessun tentativo d’interpretazione dei fatti: il personaggio vive come il passante che incontriamo per strada, come il nostro vicino di casa, come la persona in fila dietro di noi alla cassa del supermercato.

 

Ballo di famiglia non è un’opera in cui troverete trame entusiasmanti o avventure da seguire col fiato sospeso. Leggetelo come invito all’empatia, come conferma del fatto che un visione d’insieme dei fenomeni non possa essere sufficiente a comprenderli. Ho sentito dire da qualcuno, una volta, che di questi tempi bisogna stare attenti alle mine vaganti; stiamo attenti, allora, al fattore umano, alla specificità del singolo, ogni volta che possiamo. Brecht aveva già indovinato: nella maggior parte dei casi, non è un eroe (né un capro espiatorio) quello di cui abbiamo bisogno; come Galileo, anche noi abbiamo avuto paura delle nostre idee, e anche noi abbiamo lottato per portarle avanti.

Che si tratti della scoperta astronomica del millennio o di una semplice battaglia privata non fa alcuna differenza.

Lascia un commento