Se oggi a Pordenone godiamo di teatri e spettacoli, probabilmente non pensiamo a quanto lunga e complessa sia stata la storia del teatro in città. Una vicenda che iniziò nel 1574, quando il Consiglio comunale decise di sostenere con 10 ducati alcuni giovani che avevano offerto di recitare una commedia in Carnevale. Era l’inizio di una tradizione che avrebbe accompagnato per secoli la vita culturale della città.

Le rappresentazioni si tenevano inizialmente nella Loggia comunale, e col passare degli anni, viste le richieste sempre crescenti, il Comune permise ai dilettanti di usare il proprio salone per esercitarsi e intrattenere il pubblico.

Nel 1742, dopo quasi due secoli di attività, il Comune decise di restaurare la sala, ampliandola e rendendola più decorosa. Il progetto fu arricchito da palchetti dipinti e un arco prospettico.

Il vero salto di qualità avvenne nel 1766 quando il conte Giovanni Ottaviano di Montereale Mantica ottenne di realizzare una ringhiera levabile intorno ai muri della sala, trasformandola in uno spazio più comodo e suggestivo. Il pubblico apprezzò, e ben presto il salone diventò troppo piccolo per accogliere tutti: il Consiglio fu costretto a spostare le proprie riunioni altrove.

Negli anni successivi, la gestione e la manutenzione della sala teatrale divennero fonte di tensioni tra il Comune e il conte Montereale. Il progetto di ampliamento del 1787, che prevedeva circa 40 palchi, scatenò un contenzioso legale: il conte e i suoi associati rivendicavano diritti acquisiti, e il Consiglio comunale cercava di far rispettare il progetto approvato. Dopo diverse dispute, solo nel 1803 la sala fu finalmente liberata dai palchetti e dal palco scenico esistenti, pronti a essere riutilizzati per restauri comunali.

All’inizio del XIX secolo, un gruppo di cittadini, sostenuti dalla politica napoleonica che favoriva la borghesia e i possidenti, fondò la Società del Teatro, dando vita al primo teatro stabile di Pordenone. Il nuovo locale, pur adattato da strutture preesistenti, divenne un vero «teatrino formale e regolare», con palchi su due ordini, pavimento e soffitto in legno e un palcoscenico delimitato da parapetti e piccoli palchi laterali. La Società era composta da membri dell’ex nobiltà e della borghesia locale, e amministrava le rendite provenienti dai palchi, che servivano a mantenere il teatro e a pagare le spese ordinarie.

Tuttavia, la gestione della Società non fu priva di difficoltà. La cassa dell’associazione era spesso «intieramente esausta» perché molti palchisti non pagavano il canone dovuto, e non era possibile obbligarli senza l’approvazione superiore.

I tentativi di conciliazione tra Comune e Società si susseguirono, ma spesso fallirono: i conflitti di interessi erano evidenti, poiché i membri incaricati delle trattative erano allo stesso tempo consiglieri comunali e presidenti della Società. Anche quando il Comune ricorse alle autorità provinciali e all’I.R. Pretura per recuperare gli arretrati, le opposizioni dei soci impedivano qualsiasi progresso.

Solo nel 1830-1831, dopo ventiquattro anni di contese, la situazione trovò una soluzione definitiva. I palchisti rinunciarono volontariamente ai loro diritti sul vecchio teatro, consentendo al Comune di disporre liberamente dei materiali e di procedere alla demolizione. Il risultato fu la fine dell’attività del primo teatro di Pordenone e l’apertura della strada a un nuovo progetto: nell’agosto dello stesso anno venne inaugurata la nuova sala teatrale in Contrada Maggiore, che assunse il nome di Teatro della Concordia.

Il Comune, ripreso possesso del palazzo, si trovò però davanti a edifici in pessime condizioni. Tra tetti pericolanti, soffitti cedenti e pavimenti depressi, fu necessario un restauro complesso e graduale, affidato a periti e appaltatori locali, per rendere nuovamente sicuro l’edificio e adattarlo a sede comunale.

Nonostante la mancanza di cronache dettagliate, sappiamo che la stagione teatrale di Pordenone nei primi decenni dell’Ottocento era vivace. Gli spettacoli erano organizzati dai presidenti della Società del Teatro, senza la figura di un impresario, e concentrati principalmente nel periodo di Carnevale.

La città vedeva rappresentazioni di opere buffe, spettacoli equestri, esercizi di marionette, tombole e veglioni aperti alla cittadinanza. Il pubblico era composto da nobili, professionisti, commercianti, funzionari e ufficiali, mentre chi non disponeva di un palco riservato doveva accontentarsi della platea o sperare nell’invito di un membro della Società.

Il teatro rappresentava poi un luogo di aggregazione, confronto e anche di piccoli conflitti di potere, come dimostrano le liti con il Commissario Distrettuale o le contese per l’uso dei palchi. Alla fine, la passione per lo spettacolo e la volontà di creare uno spazio permanente per la cultura prevalevano.

Il Teatro della Concordia a Pordenone, diventato Sociale nel 1845, rimase in attività fino agli inizi del Novecento allorché la cittadinanza di Pordenone, di fronte alla novità del cinema, sentì l’esigenza di un teatro moderno. Un comitato cittadino individuò un’area centrale da dedicare allo scopo, tra il Ponte delle Muneghe e la roggia dei Molini. L’area fu acquistata dalla famiglia Galvani e poi ceduta al Comune.

Nel 1910 la Società del Teatro guidata da Riccardo Etro ottenne il terreno per costruire un nuovo teatro. I lavori partirono nel 1913, venendo interrotti durante la Prima guerra mondiale e ripresi in seguito. È in questo periodo che il nuovo teatro cominciò a essere chiamato “Licinio”, nome derivato da un errore attribuito al pittore “Il Pordenone” (Antonio de Sacchis) che era a volte chiamato “Licinio”. L’inaugurazione avvenne il 15 aprile 1922, mentre il cambio del nome avvenne nel 1938: Teatro Verdi.

Il resto è storia.

 


Articolo tratto da:

  • Matteo Gianni, Il primo teatro di Pordenone (1807-1831), in “Atti dell’Accademia San Marco di Pordenone”, 18 (2016), pp. 905-934 (disponibile qui)