Quando, nel 1937, si decise di costruire una scalinata che collegasse il colle di San Giusto alla Casa del Fascio, l’attuale Questura, i lavori si fermarono ancora prima di cominciare. Mancanza di fondi? Beghe tra architetti? No, non questa volta. Appena sfiorate le case del quartiere Rena Vecia, che dovevano essere abbattute per realizzare il progetto, si scoprirono le rovine di un antico teatro romano.
Per la verità sia il nome del quartiere Rena, cioè arena, sabbia, sia la disposizione a semicerchio delle abitazioni, diversa da quella del resto della città, avevano fatto intuire già nell’ ‘800 che, letteralmente, ci fosse sotto qualcosa. Quindi… fermi tutti! Cambio di programma! Abbandonata l’idea della scalinata, si lavorò per portare alla luce e restaurare il teatro, simbolo dell’antica Tergeste, che fu inaugurato il 21 aprile 1938.
Il teatro di Tergeste sorgeva fuori dalle mura della città, quasi in riva al mare: il suolo su cui oggi camminiamo, infatti, è più alto di circa tre metri rispetto al passato. Non sappiamo con esattezza quando la struttura fu costruita, ma abbiamo notizia di un grande intervento di ristrutturazione tra il 98 e il 102 d.C. per espresso interessamento di Quinto Petronio Modesto, un ricco cavaliere triestino che assunse importanti incarichi in province lontane sotto l’imperatore Traiano.
La cavea, sostenuta da un muro che sfruttava in parte il pendio della collina di San Giusto, era lo spazio dove si sedevano gli spettatori e quella del nostro teatro poteva ospitarne fino a 6000; ovviamente, nelle prime file dette orchestra sedevano i vip (magistrati civili e religiosi) secondo un ordine gerarchico definito. Gli attori si esibivano sul proscenio, un palcoscenico di legno, alle spalle del quale si ergeva la scena, che era fissa, costruita come un palazzo con tre porte sul fondo e che, anche se sono rimaste poche rovine, possiamo immaginare decorata con statue, colonne e architravi. Dietro questo edificio si aprivano i camerini degli attori.
Ah già, chi erano gli attori? L’organizzazione degli spettacoli era affidata ad un magistrato particolare che aveva il compito di finanziare e selezionare gli spettacoli in collaborazione con il capocomico, il responsabile di una compagnia. Gli attori erano in genere degli schiavi che svolgevano una professione considerata infamante: salendo sul palco, infatti, un uomo libero avrebbe immediatamente perso i suoi diritti civili. Gli attori, inoltre, erano esclusivamente uomini perciò alcuni di loro si specializzavano in ruoli femminili. L’utilizzo di parrucche variopinte e i colori sgargianti dei costumi rendevano immediatamente riconoscibili i personaggi, così come l’uso delle maschere, scure per le parti maschili e chiare per quelli femminili, necessarie per gli attori che dovevano interpretare più ruoli e per amplificare la loro voce.
Gli spettacoli avevano luogo in particolari occasioni dell’anno e duravano tutta la giornata seguendo una scaletta definita. Le rappresentazioni erano gratuite, perciò potevano accedervi persone provenienti da tutti gli strati sociali. Si mettevano in scena commedie, tragedie e mimi, cioè degli spettacoli molto simili ai nostri varietà, che comprendevano scene di vita quotidiana, sketch di comicità grossolana, canti e balletti. Sappiamo inoltre che nel III secolo d.C. il teatro ha ospitato anche battaglie di gladiatori e in particolare abbiamo notizia di Ceruleo e Decorato, quest’ultimo ebbe una carriera notevole, combattendo ben nove volte prima di essere ucciso da un altro gladiatore.
Alla fine dell’età romana il teatro cadde in rovina, complice anche un terremoto che fece sprofondare il proscenio. Con il tempo abitazioni, magazzini, piccoli laboratori sorsero sopra le antiche rovine che oggi, grazie ad un indovinato cambio di programma, possiamo ammirare.
Nata a Pordenone nel 1993, mi sono laureata in Storia a Ca’ Foscari (Venezia), dove sto proseguendo gli studi in Storia Contemporanea. Tra i fasti della Serenissima ho scoperto la passione per le zone industriali e ora mi sto specializzando in storia del lavoro e dell’impresa. Guido cantando – solo quando sono sola, perché mi vergogno – e non esco mai senza un romanzo e un registratore con batterie di riserva: convinta che le storie si nascondano ovunque, non voglio essere impreparata quando ne scovo una.