Oggi non parlerò di un film classico, ma di un regista “classico” in occasione dell’uscita in sala di un documentario a lui dedicato: Robert Altman uno dei cineasti americani più influenti nella storia del cinema. Altman è l’omaggio che il canadese Ron Mann fa al regista di tanti capolavori quali Nashville, M.A.S.H, America Oggi e I protagonisti, sentendo le voci dei familiari e degli attori che negli anni hanno avuto l’onore di lavorare con lui. Altman è stato il primo a ribellarsi alle logiche di Hollywood, realizzando delle pellicole che non si piegavano alle regole del blockbuster, ma che esprimevano in pieno la libera creatività artistica. Dopo essersi fatto le ossa nella serialità televisiva, si circondò di amici e familiari per realizzare in completa autonomia il cinema che voleva, niente suppliche a produttori poco illuminati o rinunce in favore del commerciale, ma solo la propria soddisfazione. Certo lavorare in quel modo lo portò a momenti di profonda crisi, sia economica che personale, ma le soddisfazioni non sono mancate, vedi Palma d’oro a Cannes e Oscar. Altman fu il primo a dare importanza al suono e ai dialoghi nei suoi film, facendo incazzare, e di conseguenza facendosi licenziare, i suoi primi produttori per “aver fatto parlare simultaneamente gli attori”. Diciamo subito che il documentario di Mann non spicca per originalità, ma ha un pregio fondamentale: ha doverosamente messo una firma sulla grandezza di Altman, riconoscendo finalmente l’artigianalità autoriale del suo cinema, che, fino alla fine, ha saputo raccontare la realtà anche quando ispirata a fatti di fantasia. Negli anni il pubblico e la critica hanno amato e odiato le sue opere, riconoscendo però entrambi la sua caparbietà e testardaggine con commosso ricambio. Raramente questo accade, ma non resta che crederci e innamorarsi ancora delle sue bersagliate verso l’America, verso un “sistema”, verso di noi.

 

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