Avvicinarsi alla storia di Pordenone è meno arduo di quanto sembri. Questo angolo di Friuli è sempre stato un territorio di passaggio, un corridoio naturale fra oriente e occidente. A differenza delle più blasonate Venezia, Treviso, Udine o Trieste, qui molti viaggiatori arrivavano e pochi decidevano di fermarsi. Ma proprio questa condizione di crocevia non deve indurre a sottovalutarne il peso storico: quando la grande Storia è passata, ha lasciato impronte profonde, e spesso sorprendentemente durature.
Se oggi possiamo ricostruire con precisione ciò che è avvenuto, è grazie al lavoro di uno storico che più di ogni altro ha saputo leggere e interpretare questo territorio. Una figura che, ancora oggi, a quasi mezzo secolo dalla sua scomparsa, rimane indispensabile per chiunque voglia studiare seriamente Pordenone: Andrea Benedetti.
Nato a Rovigno d’Istria il 20 maggio 1896, Andrea Benedetti crebbe in un ambiente familiare ricco di riferimenti culturali e legami nobiliari. La madre, Marina Manzutto, era nipote della contessa Teresa di Montereale Mantica, mentre il padre Giacomo apparteneva a una rete di parentela che univa famiglie istriane e friulane di forte radicamento territoriale. Non stupisce quindi che il giovane Andrea sviluppasse presto un’affezione profonda per la storia locale e per gli archivi di famiglia, che fin dall’adolescenza iniziò a consultare.
La sua infanzia si svolse tra Rovigno e Umago, dove trascorreva le vacanze presso i nonni materni. Durante gli anni del liceo, è probabile che avesse già iniziato a frequentare Pordenone, in particolare il palazzo Montereale Mantica, custode di un vasto archivio gentilizio che avrebbe segnato in modo decisivo la sua futura attività di storico.
La Prima guerra mondiale segnò un punto di svolta. Studente a Capodistria, Benedetti decise nel 1915 di evitare l’arruolamento austro-ungarico attraversando clandestinamente il confine italiano. A Padova completò il liceo e, pochi mesi più tardi, a Bologna, preferì il volontariato irredentista agli studi universitari. Combatteva come “Andrea Bartolomei”, spostandosi su vari fronti e partecipando poi, nel 1919-1920, all’impresa di Fiume con i volontari “Venezia Giulia”. Prese parte anche ad azioni spettacolari, come la cattura del cacciatorpediniere Bertani e del piroscafo Cogne. Per il suo servizio ricevette la Croce di guerra, l’onorificenza di Cavaliere di Vittorio Veneto e quella di ufficiale della Corona d’Italia.
Dopo il congedo nel 1921 tornò agli studi e conseguì la laurea in storia e geografia con una tesi su Pordenone sotto i Liviano, frutto delle consultazioni nell’archivio di famiglia. Nello stesso anno cominciò la carriera di insegnante al liceo “Francesco Petrarca” di Trieste, città dove visse fino al 1934 e dove sposò Clotilde Gabrielli, da cui ebbe il figlio Marino.
Da preside si spostò poi prima a Cento e infine a Roma, dove diresse l’istituto magistrale annesso al Collegio “Littorio”. La sospensione dall’incarico nel 1944 a causa dell’iscrizione al Partito Nazionale Fascista, atto reso obbligatorio dal regime per lavorare nel settore pubblico, fu temporanea: la Commissione di Epurazione lo riabilitò nel 1945 e Benedetti poté riprendere l’insegnamento, trasferendosi tra Grosseto, Viterbo e di nuovo Roma, dove concluse la carriera nel 1961.
Parallelamente all’attività scolastica, Benedetti coltivò una produzione storica vastissima. Il suo primo interesse fu l’araldica giuliana, sviluppata negli anni Trenta anche grazie all’amicizia con Riccardo Gigante, sindaco di Fiume.
Negli stessi anni Benedetti iniziò a dedicarsi con metodo alla storia di Pordenone e del Friuli, un lavoro che lo avrebbe accompagnato per due decenni e che sfociò nella sua opera più importante: la Storia di Pordenone, pubblicata nel 1964. La città la accolse con grande riconoscenza, tanto da conferirgli la cittadinanza onoraria.
Il motivo era piuttosto chiaro. Benedetti non era uno storico da tavolino. Passò anni a consultare pergamene, registri e documenti d’archivio, compresi quelli dell’Archivio di Stato di Pordenone. Questa immersione nelle fonti primarie gli diede una solidità e una credibilità difficili da eguagliare nel panorama locale. Le sue ricerche si concentrarono in particolare su periodi cruciali della storia cittadina, come la dominazione liviana del primo Cinquecento e il successivo dominio veneziano, che ricostruì con un’attenzione quasi chirurgica ai documenti dell’epoca.
Il risultato fu un’opera che contribuì a far conoscere e valorizzare la storia della città in ogni suo dettaglio, diventando un riferimento e uno strumento fondamentale per capire le dinamiche che hanno modellato Pordenone nel corso dei secoli. Un vero classico della storiografia locale indispensabile per chiunque voglia avvicinarsi seriamente alla storia di Pordenone.
Importante fu anche il progetto dei Monumenta historica civitatis Portusnaonis, due volumi di trascrizioni documentarie medievali e moderne depositati alla Biblioteca Civica di Pordenone. Da quel materiale nacque anche la monografia La dominazione dei Liviano a Pordenone (1508-1537), di cui però non rimangono copie note.
Un capitolo fondamentale della sua attività culturale pordenonese fu la fondazione, nel 1952, della rivista Il Noncello, nata come serie di monografie e poi divenuta rivista semestrale di arte e cultura. Benedetti la diresse per oltre vent’anni, trasformandola nel principale punto di riferimento culturale della Destra Tagliamento.
Negli ultimi anni trascorse le estati a Fiume Veneto, ospite delle cugine Montereale Mantica, e proprio lì, nella località di Piandipan, morì il 1° luglio 1978, durante uno dei suoi consueti viaggi di ricerca in Friuli.
Per approfondire:
- Lia Zigiotti, Pordenonese per scelta: le carte dello storico Andrea Benedetti (1896-1978). Inventario, tesi di laurea, Relatore Prof.ssa Claudia Salmini, Corso di Laurea magistrale in Storia e gestione del patrimonio archivistico e bibliografico, Università Ca’ Foscari, Venezia, anno accademico 2019/2020.
- Luca Gianni, Benedetti, Andrea, in Dizionario Biografico dei Friulani (online)
Pordenonese, classe 1992. Ho conseguito il dottorato di ricerca in Studi storici tra l’Università di Padova, Ca’ Foscari di Venezia e l’Università di Verona. Mi sono laureato a Ca’ Foscari con una tesi sul rapporto tra l’università veneziana e la Dalmazia, premiata dall’Ateneo Veneto nel 2020. Mi piace pensarmi come uno spettatore di eventi che un giorno saranno considerati storia. Per questo credo che raccontare e divulgare il passato sia una delle sfide più affascinanti. È anche il motivo per cui scrivo con passione per le mie amate Radici.