C’è un filo che lega il nuovo romanzo di Giacomo Poretti, La fregatura di avere un’anima, a uno spettacolo teatrale del 2018. Sul palco di allora, l’attore e comico affrontava un tema enorme e scivoloso come il concetto di “anima”, in un dialogo serrato e ironico con il pubblico. Tra le persone presenti in sala c’era Elisabetta Sgarbi, che rimase colpita al punto da incoraggiarlo a trasformare quello spettacolo in un libro. Da lì è iniziato un lavoro di “restyling narrativo”, come lo definisce Poretti stesso, che oggi diventa romanzo con l’auspicio di tornare un giorno di nuovo a teatro.

La trama è la seguente: Giannino è un uomo pieno di domande e convinto di non essere fatto per la felicità, né tantomeno per diventare padre. L’incontro con Rita però cambia il suo destino: nasce il piccolo Luca, sano e completo in ogni dettaglio. Ma un sacerdote, congratulandosi con i genitori, li spiazza: «Ora che avete fatto un corpo, vi tocca fare un’anima». Da qui parte il romanzo di Giacomo Poretti, un viaggio surreale e ironico in cui Giannino esplora civiltà, spiritualità, scienza e trascendenza, cercando di capire come si costruisce il più misterioso “organo” dell’essere umano: l’anima.

Alla domanda su cosa pensi un comico quando scrive un libro, Poretti risponde con sincerità: «Non penso mai a come potrebbe reagire il lettore. Diversamente dal teatro, dove bisogna immaginarsi la reazione del pubblico, la scrittura permette un tempo più intimo. È soprattutto una riflessione su di sé. Il lettore-spettatore del libro è sempre lì, solo che non applaude».

Il cuore del romanzo sta nel confronto con l’anima: concetto antico, ingombrante e oggi quasi rimosso. Poretti sottolinea come l’anima, per lui, non sia né cattiva né astratta formalità, ma una necessità. L’anziano sacerdote del romanzo, quando viene a visitare la famiglia e il bambino, non “crea” anime, ma invita a un atteggiamento di compassione e di domanda. In questo gioco narrativo, il protagonista – uomo medio, padre alle prese con un figlio di cui immagina un futuro di successo in mille ruoli – deve interrogarsi sul senso dell’anima nella vita quotidiana, tra responsabilità familiari e un mondo sempre più complesso.

Il protagonista non è definito, non ha contorni netti, così come incerto è il suo rapporto con l’idea stessa di anima. Eppure è proprio in questa indecisione che si riflette la condizione contemporanea: viviamo un tempo in cui la tecnologia, con la sua fascinazione irresistibile, rischia di allontanare dalle domande essenziali. Oggi la normalità, è la riflessione di Poretti, è prevedere per i figli una vita di successo assoluto ma non sappiamo quali conseguenze abbia l’allontanarsi da quei luoghi interiori che dovrebbero custodire domande più radicali.

Fondamentale, in questo percorso, resta lo scambio con il pubblico: il monologo teatrale gli ha permesso di misurarsi con spettatori che condividevano o rilanciavano le domande sollevate in scena. Da lì è nata la convinzione che stiamo vivendo un’epoca particolarissima, dove non è tanto in questione l’adesione a una fede in particolare, quanto il fatto che certe domande spirituali non vengano più poste.

E qui entra in gioco la parola scritta: il libro diventa non solo testimonianza, ma atto di custodia. «Se non si usano le parole – dice Poretti – finiscono nei dizionari, che sono il cimitero delle parole. Con la parola “anima” sarebbe una perdita irreparabile».

La copertina, curata grazie a Elisabetta Sgarbi, infine fa parte di un trittico di Paolo Ventura: un bambino con il padre, ultima parte di una sequenza che racconta proprio la relazione tra le generazioni. Immagine perfetta per un romanzo che interroga il senso più profondo dell’eredità, non materiale ma spirituale.