Come ogni città anche Portogruaro si è sviluppata grazie a una crescita commerciale, avvenuta in modo incisivo durante il periodo di governo veneziano. A seguito dei patti di dedizioni, con cui la città si è assoggettata a Venezia, Portogruaro ha potuto usufruire di alcuni privilegi economici, tra cui quello di possedere un fondaco, luogo di passaggio obbligatorio dei traffici commerciali da e per la Germania.
Il prototipo del Fondaco portogruarese è quello veneziano dei Tedeschi, d’età medievale, mutuato a sua volta dalle architetture mercantili del mondo islamico e di quello bizantino presenti sulle sponde orientali del Mar Mediterraneo. Nel reciproco scambio commerciale tra l’Oriente e Venezia, consolidato da rapporti commerciali risalenti sino all’alto medioevo, c’è spazio anche per l’assorbimento d’influssi culturali. Da qui l’idea del Fondaco veneziano, descritto con dovizia di particolari da Ennio Concina in Fondaci.
Per quanto riguarda il fondaco di Portogruaro dobbiamo affidarci allo storico più autorevole in materia, lo Zambaldi, che riporta con lampante fierezza la notizia della costruzione del fondaco: «Poiché erasi assicurato sempre più in Portogruaro il concorso delle mercanzie, e specialmente dalla Germania, e resa egualmente felice la navigazione per la natural sua posizione e per il buon governo della navigazione stessa, fu giudicato opportuno da questa Comunità l’erigere un fontico per la custodia delle merci che qui pervenissero, le quali per lo innanzi si depositavano nelle osterie e nelle case particolari. Perciò in relazione al sovrano beneplacito, contenuto nel diploma 26 marzo [1447] del doge Francesco Foscari, fu eretto il fontico ossia dogana a spese del Comune, con rilevante somma di denaro, e consistente nella grandiosa fabbrica in tre navate, con magnifico portone d’ingresso, con casa ad uso del custode, riva di marmi e macchina volgarmente detta inzegno, o argano, agevolante lo scarico delle merci».
Oggi l’uomo contemporaneo non trova che polvere nel sito in cui era ubicato il fondaco, a San Giovanni. Dopo il suo abbattimento nel 1934, per lasciare spazio alla costruzione del ponte sul fiume Lemene, non è rimasta alcuna traccia se non l’arco dell’entrata al fondaco dal fiume.
Invece è più che plausibile immaginare che fosse diametralmente opposto il sentimento percepito dai cittadini, che lo hanno visto oppure ci hanno lavorato al suo interno rendendosi conto dell’importanza cruciale dell’edificio per la crescita economica cittadina. A distanza di un solo anno dalla nascita del fondaco la comunità portogruarese riceve un importante feedback dalla stessa Signoria, infatti il 5 luglio 1448 il doge Francesco Foscari comunica al podestà Leone Venier «che tutti i mercanti di passaggio e in sosta a Portogruaro, sulla via per la Germania o per Venezia, debbano depositare le loro mercanzie nel fondaco da poco eretto su sua licenza -agli stessi prezzi concordati in passato nelle osterie o altri ricoveri privati- dove saranno ricevute, conservate e riconsegnate ai depositati da ufficiali all’uopo nominati dal Comune».
Seppur l’edificio fosse costato molto e la sua manutenzione richiedeva l’esborso di un’ingente quantità di denaro, il fondaco consentiva alla comunità di incamerare un gettito fiscale rilevante ripartito in diverse tasse. Quest’ultime erano tre: il fontico, riguardante la direzione e custodia delle merci; la manutenzione delle strade, definita tassa del pontasego; infine la bastazeria, ovvero lo scarico delle merci e della manutenzione dell’argano.
Le fortune del fondaco di Portogruaro, come quello di Venezia ed altri fondaci veneziani nella terraferma veneta, erano congiunte all’operosità e al guadagno dei mercanti tedeschi o alamanni. Spesso costoro erano vittime di furti e rapine a opera di bande armate. “Infiniti disordini e abusi” venivano perpetrati in una parte dello snodo commerciale tra Venezia e la Germania, ovvero nel tratto Portogruaro-Gemona. Per tutelare il libero commercio dei mercanti tedeschi, il luogotenente Antonio Grimani emana nel 1658 nuove disposizioni, maggiormente severe rispetto le precedenti.
Proprio in questa occasione viene elencata la tariffa dei dazi, che rende ben l’idea della tipologia di merci che più usualmente passavano nella dogana cittadina. Dalla Germania proveniva il ferro, in ogni sua forma, poi piombo, rame, chiodi, coltelli, cera, telerie. Viceversa da Venezia venivano inviati prodotti tipici dell’agricoltura mediterranea e quelli più rari dalle rotte orientali.
L’esistenza del fondaco ha permesso di dirigere verso la città merci, uomini e idee che l’hanno arricchita, portando un beneficio indiretto a territori limitrofi anche quelli rivali, come il vescovado di Concordia, l’Abbazia di Sesto al Reghena e quella di Summaga. Questi ultimi tre poteri locali hanno contenuto la crescita economica della città, non consentendole di espandere ed ampliare il proprio potere sul contado limitrofo. Ma non tutti i rivali trassero un beneficio indiretto dal fondaco, il caso della città di Udine è emblematico, la cui comunità cittadina più molte aveva inviato rimostranze alla Dominante per l’ingente spostamento di merci e ricchezze proprio a Portogruaro.
A volte sono uno studente di Storia. Nel resto del tempo un viandante atipico, come Astolfo in sella al suo Ippogrifo, alla ricerca involontaria dei più svariati imprevisti. L’amore verso l’avventura salgariana è commisurato a quello verso la storia, velata come l’autunno di un ricordo passato da far riemergere e rivivere dal fondo di un archivio così come dall’oblio di una memoria recisa dalla sua radice