«Un manifesto programmatico»; così Lisa Gasparotto, presentatrice dell’incontro, ha definito il nuovo romanzo di Paolo Desogus, innovativo pioniere negli studi del poeta di Casarsa. Ciò che contraddistingue il saggio di Desogus da altri scritti della critica risiede nel fatto che svincoli l’opera pasoliniana da tutti quei luoghi comuni che fanno di Pasolini quasi un marchio registrato. Si tratta di un libro in controtendenza, che analizza Pasolini in tutti i suoi molteplici profili artistici, facendolo riemergere in un’ «opera da farsi», come lui stesso asserisce.
Nel suo saggio Paolo Desogus si concentra su tre concetti cardine della figura di Pasolini: la passione, l’ideologia e la contraddizione, raccontate in base alle trame letterarie da lui stesso scritte, ma anche vissute nel rapporto con i grandi intellettuali del tempo come Contini, Fortini e, più di tutti, Gramsci. Nonostante questa originale precisione nell’analisi dell’opera pasoliniana, il libro è scritto in modo disteso, accessibile sia agli studiosi sia a chi si avvicina all’opera pasoliniana per la prima volta.
Ma come è nato questo libro? Desogus ha affermato che il progetto è sorto per merito di una scoperta biografica: una rivista de La Sapienza di Roma aveva richiesto all’autore di scrivere un saggio circa il rapporto tra Pasolini e la filosofia. Sappiamo che Pasolini si iscrive nel 1945 alla facoltà di filosofia a Bologna: fatto alquanto particolare, se pensiamo che molti critici affermavano che Pasolini fosse un irrazionalista privo di una forma mentis filosofica, e ancor più se consideriamo che Pasolini domandò la tesi sull’esistenzialismo a Felice Battaglia, filosofo gentiliano e un auctoritas del panorama culturale del tempo. Quest’ultimo è stato rettore dell’università di Bologna, presso la quale si pensava che Pasolini non avesse sostenuto neanche un esame.
Gli archivi bolognesi scoperti da Desogus, invece, ci hanno rivelato che Pasolini sostenne ben quattro esami di filosofia, di cui due con Felice Battaglia. Non solo, ma l’autore, dopo aver consultato le dispense filosofiche pubblicate da Battaglia, scopre che questi (un dialettico e un razionalista!) aveva cominciato ad occuparsi di esistenzialismo, in quegli anni condannato proprio da Benedetto Croce. Battaglia mette in discussione l’elemento razionalistico del suo pensiero: certamente la storia esiste, ma non è possibile trascurare l’umano, calato nell’irrazionalità e posto di fronte alla vita, all’amore, alla morte e alla corporeità. Questo modello influenza profondamente Pasolini ed è il principio della scissione della sua persona. Da qui prende le mosse anche il rapporto con Leopardi, un razionalista che domina l’irrazionale con la parola. Nell’ultimo Pasolini l’elemento della contraddizione si ripresenta nuovamente: la contraddizione rientra nella natura intima dell’essere umano, è parte della sua essenza, che la società dei consumi, attraverso l’omologazione e la mercificazione, sta cercando di eliminare in ogni modo.
Pasolini, dunque, si presenta essenzialmente come un autore dialogico, portando avanti lavori e progetti anche con alcuni suoi “nemici” come Eco e Sanguineti, ma confrontandosi anche con i grandi nomi del passato come Dante: dopo i suoi primi due romanzi Pasolini si rende conto di non essere più in grado di scrivere in dialetto romanesco e, rifacendosi all’opera del sommo poeta, decide di riproporre l’Inferno ambientandolo nella borgata romana del Mandrione, nel testo in prosa intitolato La Mortaccia. Sempre in merito all’impiego del dialetto, Pasolini, riflettendo sul verso dantesco «tremolar della marina», scopre che l’obiettivo della sua poetica è esprimere il cosiddetto concreto sensibile, espressione che ben esprime il sinolo tra la passione e l’ideologia del letterato e che avrà nuova vita con la produzione cinematografica.
Desogus ha sottolineato anche lo stretto rapporto che lega Pasolini alla figura di Dostoevskij: molti personaggi del primo sono stati ispirati dallo scrittore russo, cercando di rappresentare l’elemento creaturale e cristiano che vuole essere eletto a elemento politico. Tuttavia, non bisogna considerare Pasolini un naturalista, come molte letterature han voluto far credere, amante del popolo per una presunta purezza endemica primordiale; Pasolini nelle classi popolari non cerca il paradiso perduto, ma un elemento infernale, le opposizioni, in definitiva, la contraddizione. Per questo il rapporto che l’ateo Pasolini conserva con la religione si riduce al peccato originale, che consiste nell’essere nati e nel sentirsi diversi dal resto del mondo.
Per quanto riguarda il rapporto tra Gramsci e Pasolini, Desogus ha fatto notare come in merito a questo argomento sia stato scritto pochissimo; Gramsci sostiene che l’intellettuale spesso sa, ma non sente; d’altro canto il popolo spesso non comprende, ma sente. Trasponendo queste considerazioni in ambito poetico-letterario, Pasolini decide di mescolare italiano e dialetto, al fine di esprimere il contrasto tra il concreto e il sensibile (ad esempio nel film Il vangelo secondo Matteo, i discepoli si esprimono in dialetto lucano, mentre Gesù parla un italiano perfetto). In ciò risiede la modernità di Pasolini.
Spesse volte dipinto, in modo superficiale, come un eroe super partes, capace di condannare le classi politiche senza compromessi ed esaltare la forza primigenia e autentica delle classi subalterne, Pasolini, grazie al saggio di Desogus, rivela aspetti della sua poetica e della sua umanità sino ad oggi omessi, se non addirittura dimenticati, continuando ad allarmare i contemporanei in merito ai pericoli della mutazione antropologica e del profetizzato post-umanesimo.
Nato a Pordenone il 5 gennaio 2006, mi sono diplomato al liceo scientifico Michelangelo Grigoletti. Da un grande e tempestosa passione per la matematica e la fisica mi sono gradualmente rivolto verso il mondo classico e la linguistica antica, accompagnati da una forte attrazione per l’arte pittorica, particolarmente rivolta ai misteriosi significati del tonalismo veneto. Ora studio lettere antiche presso la Scuola Galileiana di Studi Superiori a Padova. Mi definisco un liberale europeista in germe e penso che questa commistione di passioni, prospettive e valori possa costituire la mia guida per un’autentica e fertile valorizzazione della storia e della cultura del Pordenonese.