Platone racconta che l’uomo e la donna costituivano un tempo una sola entità, prima che Zeus, intimorito dal loro potere, li divise in due. Un’altra versione di questo mito si ritrova nella Bibbia dove, prima del Peccato Originale, l’uomo e donna erano uniti nell’Adam Kadmon. In entrambi i casi, a seguito della scissione nei due sessi la storia dell’umanità è stata irrimediabilmente segnata da divisione e sofferenza, e le varie epoche e le società succedutesi nel tempo potrebbero essere distinte fra loro dal ruolo che la donna ha assunto in ognuna di esse: a seconda che sia stata venerata, protetta, sopraffatta, o sottomessa.

Margaret Atwood arricchisce questa storia di un nuovo capitolo, portandoci per mano in un futuro distopico, dove una società di stampo autoritario, rigidamente basata sui precetti della Bibbia, governa in modo assoluto, e le donne hanno perso ogni libertà ed ogni diritto. Il romanzo in questione si intitola The Handsmaid’s Tale, in italiano Il Racconto dell’Ancella. Da esso è stata tratta la serie omonima pluripremiata ai recenti Emmy Awards; e come oggi spesso accade, l’opera di questa scrittrice è salita alla ribalta, almeno per il grande pubblico internazionale, solo ora che la sua opera è passata dalla carta stampata allo schermo.

In realtà la scrittrice canadese è una delle più premiate e prolifiche autrici viventi, celebre non soltanto per i suoi romanzi e le sue poesie ma anche per il suo attivismo in campo politico, con particolare riguardo al movimento femminista. Quello della condizione e dei diritti delle donne è un tema molto caro alla Atwood e presente nei suoi romanzi fin dal suo esordio, La Donna da Mangiare, pubblicato nel 1969. Eppure l’opera che più di tutte esplora questo tema in profondità è probabilmente proprio Il Racconto dell’Ancella – il cui titolo è un omaggio ai Racconti di Canterbury di Chaucer. Il romanzo è stato scritto nel 1985, ma è più attuale che mai perché descrive una realtà sempre più inquietante, sempre più possibile. É la stessa Atwood, in una recente intervista, ad esprimere la sua preoccupazione per un mondo che sembra oggi essersi pericolosamente avvicinato al futuro descritto nel suo libro. D’altronde, la caratteristica principale dei grandi romanzi di fantascienza è quella di immaginare un futuro che a prima vista può sembrare lontano, ma la cui distanza è condizione necessaria per voltarsi verso il presente e mostrare, come in uno specchio, il nostro tempo e la direzione in cui sta andando.

Nel mondo che prende vita nel romanzo, a causa dell’inquinamento radioattivo e chimico gli uomini fanno sempre più fatica a procreare, e le donne in grado di generare dei figli sono rimaste pochissime. Il corpo femminile è diventato dunque oggetto del potere, attorno a cui la società si organizza. La Repubblica di Galaad, il regime di ispirazione biblica che svolge le funzioni di governo, ha infatti privato le donne di ogni diritto e libertà, dividendole in caste molto rigide. In questa sorta di teocrazia totalitaria, ogni donna è ridotta a nulla più del ruolo che rappresenta, ed è sottomessa in ognuna delle sue figure: le Mogli dei Comandanti, che detengono il potere sulla casa, ma non quello di generare la vita; le Zie, che si occupano dell’istruzione morale delle giovani; le Marte che svolgono le faccende più umili; ed infine le Ancelle, le uniche a portare in grembo il futuro.

La libertà più assoluta dei nostri tempi si è trasformata nella Repubblica Gaaladiana nel controllo più assoluto, in un mondo privato di ogni contatto umano, dove anche guardarsi negli occhi è vietato. Alle donne, oltre ad ogni affetto, è stata tolta ogni proprietà, non posseggono alcun oggetto, e nelle stanze spoglie in cui vivono è stata tolta loro persino ogni cosa a cui sia possibile legare una corda: le ancelle gaaladiane non sono padrone della loro vita, né della loro morte. Le ancelle non hanno un nome. “Difred” viene chiamata la protagonista del racconto, che significa esattamente “di Fred”, il nome del suo Comandante, l’uomo che ne detiene la proprietà.

In questo panorama di desolazione interiore, raccontare una storia significa per l’ancella spezzare la sua solitudine. Perché un racconto presuppone che vi sia qualcuno in ascolto – anche se non vi è alcuno. Chi rappresenta soltanto un ruolo, al quale si riduce completamente, non può avere una storia personale. Raccontare significa quindi acquisire una identità: anche se la storia non ha niente di personale, ma è condivisa da tutte le altre come lei.

Si dice che in una vasca da bagno che si riscaldi lentamente si muore bolliti senza nemmeno accorgersene. É esattamente quello che succede agli abitanti di Galaad. Lentamente privati della vita, ridotti ad automi – indipendentemente dalla classe sociale a cui appartengono – eppure privi di ogni reazione, ridotti all’apatia di chi si è ormai assuefatto al mondo che lo circonda, per quanto orrore contenga.

Ad essi si accostano anche i personaggi di un’altro romanzo, Per Ultimo il Cuore, in cui i protagonisti, sedotti dal miraggio di una società organizzata in modo perfetto e dalla promessa di una “vita piena di senso”, scelgono deliberatamente di rinunciare alla loro libertà prima e ai loro stessi sentimenti poi in nome della sicurezza.

È da questo che la Atwood ci vuole mettere in guardia, è da questo sogno che vi vuole risvegliare. Più che sulla fertilità fisica, ci interroga su quella interiore, sempre più preziosa in una società votata al conformismo, che annega tutti gli uomini e tutte le donne in un oceano di uguaglianza che finisce per privarli del loro spazio interiore. Mostrandoci dove potrebbe condurre la deriva che abbiamo intrapreso, la Atwood ci porta a riflettere sulle cose che abbiamo e che potremmo perdere per la mancanza di peso che diamo loro: la possibilità di determinare la nostra vita autonomamente, la possibilità di scegliere chi essere e che cosa diventare, la possibilità di scegliere chi amare; la possibilità di amare.

 

Articolo originariamente apparso  su Cogito et volo, scritto da Giacomo Taggi.

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