Niente è visibile per noi, né può esserlo, tranne delle linee rette; e il perché lo dimostrerò subito. Posate una monetina nel mezzo di uno dei vostri tavolini nello spazio, e chinatevi a guardarla dall’alto. Essa vi apparirà come un cerchio. Ma ora, ritraendovi verso il bordo del tavolo, abbassate gradatamente l’occhio (avvicinandovi così sempre più alle condizioni degli abitanti di Flatland), e vedrete che la monetina diverrà sempre più ovale; finché da ultimo, quando avrete l’occhio precisamente all’altezza del piano del tavolino (cioè come se foste un autentico abitante di Flatland), la moneta avrà cessato di apparire ovale, e sarà divenuta, per quanto potrete vederla, una Linea Retta.

Benvenuti a Flatlandia, l’universo bidimensionale ideato dall’arguta penna del reverendo Edwin Abbott. Uno dei primi romanzi che si possano definire scientifici, in cui la matematica -e in questo caso più precisamente la geometria- si fonde con la narrazione in un tutt’uno indistinguibile. Siamo viaggiatori, insieme al Quadrato, di mondi assai diversi: universi a più dimensioni, ciascuno dei quali popolato da abitanti che pensano e vivono in modo differente, adattandosi alla realtà che i loro sensi riescono a percepire.

Geometria. Una parola che per molti ricorda figure tracciate su fogli a quadretti, applicazioni acritiche di teoremi che portano il nome dei loro antichi scopritori greci, formule da imparare a memoria. Forse qualcuno ricorderà il piano cartesiano: per noi, che la guardiamo dall’alto, la geometria euclidea ci appare piatta, primitiva. Ma chi, come Abbott, ha mai provato ad immaginare cosa si provi a essere un Quadrato? Gli abitanti di Flatlandia sono Cerchi, Quadrati, Rette, Esagoni. Non conoscono altro che lunghezza e larghezza: in prospettiva loro non vedono altro che linee. Provate con la monetina appoggiata sul tavolo, se vi riesce difficile immaginarlo. L’universo degli abitanti di Flatlandia ha due dimensioni, il mondo in cui le figure vivono è un piano che non ha spessore. Questo implica che non sia definibile un “sopra” o un “sotto”, un “alto” o un “basso”

Ancor più limitato è l’universo monodimensionale di Linealandia. Gli abitanti di Linealandia percepiscono solo la lunghezza. Vi è mai capitato di trovarvi in un vagone di un treno o di una metropolitana e di guardare fuori dal finestrino mentre siete in galleria? Davanti a voi non vedete altro che buio, come se vi trovaste all’interno di un tubo. Ora immaginate di stringere quel tubo fino a raggiungere dimensioni microscopiche e insieme con il tubo vi rimpicciolite anche voi. Continuereste a vedere l’interno nero del tubo, non credete? Ecco, vedreste più o meno ciò che vedono gli abitanti di Linealandia. La vostra realtà sarebbe un punto nero e non conoscereste nient’altro che quello.

L’universo minimo poi, quello che non ha dimensione, sarebbe l’infinitesima parte dell’universo di Linealandia. Tutti sappiamo che le rette sono insiemi di punti. Il piano è un insieme di rette. Lo spazio un insieme di piani. In ultima istanza, tutto si riduce ad un insieme infinito di punti. Puntolandia è l’universo a dimensione zero. Il Punto non percepisce nulla al di fuori di sé stesso. La sua stessa esistenza, nell’ambito della geometria, è affidata ad un postulato. Si dice che il Punto è un “concetto primitivo”: colonna portante dell’intero apparato geometrico, è una tacita convenzione che il matematico accetta per necessaria. Come ci racconta Abbott:

Quel Punto è un Essere come noi, ma confinato nel baratro adimensionale. Egli stesso è tutto il suo Mondo, tutto il suo Universo; egli non può concepire altri fuor di se stesso: egli non conosce lunghezza, né larghezza, né altezza, poiché non ne ha esperienza; non ha cognizione nemmeno del numero Due; né ha un’idea della pluralità, poiché egli è in se stesso il suo Uno e il suo Tutto, essendo in realtà Niente. Eppure nota la sua soddisfazione totale, e traine questa lezione: che l’essere soddisfatti di sé significa essere vili e ignoranti, e che è meglio aspirare a qualcosa che essere ciecamente, e impotentemente, felici.

La descrizione filosofica della percezione che il Punto ha dell’universo è il fulcro della riflessione scientifica che il romanzo di Abbott propone. La limitatezza intellettuale e conoscitiva del Punto non è ottusità: è impossibilità. Impossibilità di conoscere veramente ciò che i nostri sensi non sono in grado di percepire. Il prezzo da pagare per chi è in grado di vedere oltre è la tacita accusa di follia. Accade anche al protagonista del romanzo, al Quadrato. Un giorno il Quadrato vede che Flatlandia viene attraversata da qualcosa. Si tratta di una Sfera, un abitante di Spaziolandia, che gli parla della terza dimensione. Il Quadrato non può conoscerla, perché è una dimensione che il suo universo non contempla, ma crede alle parole della Sfera e si lascia guidare attraverso gli universi appena descritti. Al Quadrato sarà inoltre concesso di vedere la terza dimensione e ciò gli cambierà la vita. Non potrà darsi pace, perché dovrà raccontare a tutti gli abitanti del suo mondo che c’è qualcosa là fuori ed è qualcosa che loro possono soltanto immaginare.

La Sfera stessa nega che possano esistere altre dimensioni oltre la terza. Noi non siamo altro che Sfere, comprendiamo e siamo in grado di controllare le dimensioni di lunghezza, larghezza e altezza e perciò siamo e siamo stati in grado di costruire edifici. Eppure la fisica ha individuato la quarta dimensione, quella del tempo. La teoria delle stringhe -ovvero uno dei tentativi di formulare una teoria del tutto, in grado di spiegare contemporaneamente le osservazioni fatte sull’infinitamente piccolo e quelle sull’infinitamente grande- assume come “concetto primitivo” le stringhe, ovvero oggetti monodimensionali. L’universo si comporrebbe di stringhe ed attraverso complesse equazioni questa teoria è arrivata ad ipotizzare l’esistenza di un numero di dimensioni pari a 10 o 11 (per la M-teoria) fino a 26 (per quella bosonica).

L’ignoto è il campo delle menti curiose. E il grande potere dell’uomo è la sua abilità di immaginazione, quell’astrazione che lo scienziato deve allenare per essere in grado di teorizzare e partendo dagli effetti individuare una legge o una causa che non sia immediatamente osservabile. Immersi in un mondo che cambia e che ancora non conosciamo davvero, possiamo scegliere. Scegliere di accontentarci di esistere e credere alla nostra necessarietà, come il Punto, rintanandoci nel caldo cantuccio delle nostre certezze immanenti. Oppure essere come il Quadrato che, sapendo immaginare, pone domande. E anche di fronte a chi, come la Sfera, ha una percezione del mondo superiore alla sua, non smette di fare domande, non si accontenta.

 

Articolo apparso originariamente su Cogito et volo, scritto da Federica La Terza.

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